Il giudice Marco Gattuso ha ribattuto sul suo profilo Facebook al mio intervento contro la GPA (“Gestazione Per Altri”) che avevo pubblicato qui.
Il suo intervento può essere letto qui.
Ecco la mia replica. [Immagine di Inferis, su WikiCommons].
Nella replica seguirò il suo stesso metodo, citando prima le sue argomentazioni e a seguire le mie.
Iniziamo dalla replica alla mia affermazione d’aver chiesto a “chi di Legge ne capisce più di me“, quale fra i “diritti umani” sarebbe leso da un mancato riconoscimento della GPA, ottenendo come risposta “nessuno”. Marco Gattuso dissente:
“Chi di Legge ne capisce” non ha ricordato che la corte costituzionale con la sentenza n. 162 del 2014 ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione eterologa proprio perché ledeva il diritto ad avere figli e metter su famiglia, che non può essere limitato che per la necessità di tutelare diritti contrapposti. Non ha ricordato, inoltre, il diritto alla autodeterminazione della donna (tenuto in alto conto dalla Corte suprema californiana nella sentenza del 1993 che riconosce la GPA)
Ebbene, il fatto che altri di Diritto ne capiscano più di me, non implica che da parte mia io non capisca nulla di Logica, che grazie agli dèi è risorsa a disposizione anche di chi non ha mai studiato Diritto.
E la Logica ci dice che, primo, in nessun modo la proibizione della GPA “lede il diritto di avere figli e mettere su famiglia“, visto che le coppie aspiranti alla GPA possono tranquillamente o sposarsi o unirsi civilmente, nonché procreare dentro e fuori da tali unioni (sia pure con mezzi più “tradizionali”); secondo, la sentenza citata esclude deliberatamente le coppie lesbiche e le donne single, il che la rende inapplicabile per il nostro ragionamento.
Non dico che ciò sia giusto (anzi, al contrario: nell’articolo che Gattuso critica io affermavo espressamente che il movimento lgbtskdapfjkasòfoakfgskl farebbe meglio a porsi come obiettivo immediato l’abrogazione totale della legge 40 del 2004, che ormai riguarda al 100% coppie omosessuali, invece di perdersi dietro alla GPA, che riguarda al 95-99% coppie eterosessuali), dico però che la sentenza che mi viene citata ha negato, e non affermato, il presunto “diritto ad avere figli” per donne single e coppie lesbiche. Dunque, le tue colleghe e i tuoi colleghi con cui ho parlato non erano poi così “sbadate/i”.
Per quanto riguarda poi il diritto all’autodeterminazione della donna, vorrei far notare che una sentenza californiana non costituisce un principio generale del Diritto occidentale bensì l’opinione di uno solo dei 50 stati di una sola nazione, gli Usa, e soprattutto che, come non avevo già mancato di notare, il loro modo d’intendere il principio dell’autodeterminazione della donna è già entrato in conflitto con se stesso, nei casi in cui a una “madre surrogata” è stato o imposto, o impedito di abortire. E l’aborto è uno dei punti più importanti d’applicazione del principio d’atodeterminazione.
Inoltre, se s’introduce il principio secondo cui un contratto possa sopprimere il “diritto alla scelta” nel caso dell’aborto, non si vede perché tale possibilità debba essere concessa solo a uno sconosciuto, e non a maggior ragione al marito o al compagno d’una donna. Cosicché, per rendere inefficace la legge 180 sarebbe sufficiente che il compagno chiedesse o imponesse di firmare un contratto in base al quale la compagna s’impegnasse a non abortire senza il suo consenso, o al contrario ad abortire su sua richiesta. Tutto ciò è inaccettabile, proprio in base al principio d’autodeterminazione che mi viene citato.
Certi diritti sono “inalienabili”, nel senso etimologico, ossia, non possono essere né comprati né venduti, tant’è che un contratto che li riguardasse è nullo. Qualche giudice americano ha già ritenuto che i contratti, il mercato, il denaro valgono più dei diritti inalienabili? Non mi stupisco: è l’ideologia anarco-capitalista: che dice che la Società e tutto ciò che è regola sociale sono il Male, laddove il mercato capitalistico e la “libertà” di comprare e vendere qualsiasi cosa, inclusi i corpi umani, sono il Bene. Ma come si sarà notato leggendo il mio articolo, l’anarco-capitalismo è un mio nemico, in quanto nemico di qualsiasi cosa mai creduta e sostenuta da qualsiasi “sinistra”, dalla Rivoluzione francese in poi. Liberi altri di pensarla altrimenti, però è diritto mio regolarmi in base a tali convinzioni politiche.
A queste obiezioni, a cui avevo già accennato nel mio articolo originale, Gattuso ha risposto, in un punto diverso del suo intervento:
Qui si pongono questioni molto importanti, che tuttavia non conducono a vietare la GPA ma a regolamentarla con molta attenzione e rigore. Ad esempio, non c’è dubbio che il diritto di abortire sia un diritto fondamentale, per cui a prescindere da qualsiasi accordo la donna resta sempre libera di abortire o non abortire, ci mancherebbe. La questione di cosa viene scritto negli accordi di GPA è molto complessa e va studiata con attenzione (il fatto che la parola “accordo” in inglese si traduca “contract” non aiuta, perché per noi il “contratto” riguarda sempre e solo questioni patrimoniali, mentre qui si tratta di una intesa su questioni personalissime); ad esempio negli USA, la questione “accordi” è estremamente articolata: è necessario che entrambe le parti abbiano un avvocato (anche quello scelto dalla gestante deve essere pagato dai genitori intenzionali) e che seguano un percorso finalizzato a capire le rispettive intenzioni e aspettative: le parti cercano di verificare se vi è una base comune di valori, ad es. una coppia di genitori religiosi e antiabortisti tende a raggiungere l’accordo con una gestante che ha i medesimi valori e che non abortirà, così come una coppia laica e abortista tende a trovarsi meglio con una gestante con analoghi valori. Questo non vuol dire che un accordo possa derogare al diritto costituzionale di abortire. Quando si parla di “ginepraio” di contraddizioni legali forse va ricordato che la GPA è iniziata negli USA negli anni ottanta, che li si praticano circa 2000 GPA ogni anno e che i casi portati in questi quarant’anni in tribunale sono poche decine…
Riporto queste considerazioni perché penso sarebbe scorretto non farlo; lascio tuttavia che sia chi legge a decidere se esse rispondano effettivamente alle obiezioni che ho presentato o no.
Proseguendo, Gattuso commenta così la mia affermazione secondo cui procreare non è un diritto per nessuno, dato che i bambini non “sono” un diritto ma semmai “hanno” diritti:
Lo slogan “i bambini non sono un diritto” è molto ad effetto ma poco centrato. È chiaro che i bambini non sono un diritto, o meglio che il diritto ad avere liberamente figli non può calpestare altri diritti, ma che c’entra con la ricerca di soluzioni per le coppie infertili? Il desiderio di una coppia di avere un figlio è identico sia che si tratti di coppie fertili che infertili. Si tratta di verificare nel caso concreto se sono stati calpestati diritti di altri/e.
Su questo siamo d’accordo. Infatti io non sono contrario al fatto di “cercare soluzioni per le coppie infertili“. Non sono contrario all’adozione, all’affido, alla stepchild adoption (che a mio parere dovrebbe anzi essere un obbiettivo urgente per il movimento lgbtqcvjwpfgyrtbnnmzxpqwukrtl*) o al co-parenting (le ultime due, soluzioni alla portata di tutti, ma colpevolmente trascurate per favorire la chimera tecnologico-capitalistica della GPA). Sono solo contrario alla compravendita della gestazione, e basta, perché le donne non possono essere ridotte a incubatrici su due gambe.
Ciò chiarito, sul costo della GPA (dettaglio che la rende una soluzione per ultra-privilegiati) Gattuso aggiunge:
Più che giusto! Ma la GPA costa molto proprio perché si deve andare all’estero. Di per sé il compenso o rimborso per la gestante è di circa 20-30000 euro. Una cifra altissima, ma non i 100.000 che si spendono per andare più volte in USA, pagare assicurazioni private, agenzia, avvocati ecc.. La GPA fatta in Italia potrebbe avere costi non maggiori di quelli comunemente gravanti sulle coppie che adottano. Questo non vuol dire che 20.000 non siano comunque troppi, ma allora discutiamo su come abbattere questo costo e renderla accessibile, ad es., a tutte le donne, anche indigenti, che hanno patologie che non consentono loro di avere bambini.
Qui ci addentriamo su un terreno scivoloso. So che in una discussione non tocca mai all’avversario dare consigli alla controparte, quindi non mi offenderò se questo mio consiglio sarà ignorato, tuttavia credo che sarebbe meglio che i sostenitori della GPA non insistessero sul tema di come renderla meno costosa. Dico questo perché i metodi per farlo li conosciamo già, in quanto sono stati già usati, in Bangladesh e altrove: l’economia di scala. Ospedali specializzati, in cui cinquanta o cento o mille “madri surrogate” alla volta possono “produrre” “quanto previsto dal contratto”, sorvegliate da medici e aiutate da attrezzature ammortate da un utilizzo privo di tempi morti. In altre parole: la catena di montaggio.
Evitiamo questo argomento, insomma, perché rischia di portarci fuori strada. Anche perché il costo, in sé, non è un argomento. Se una cosa vale il suo costo, ad esempio una terapia contro l’Hiv, lo si paga. E se io non avessi obiezioni di altro tipo (etico, politico…), il fatto che i ricchi godano d’un privilegio in più o in meno (yachts, bambini, cavalli…) non mi disturberebbe. Per me è odiosa l’esistenza del privilegio in quanto tale, non il tipo di privilegio.
Gattuso contesta poi la mia idea secondo cui la “gravidanza fatta per il piacere di farla” è una semplice fantasia maschile, affermando:
Questa affermazione, mi duole dirlo, rivela una conoscenza non molto approfondita del fenomeno. Per formarsi un’opinione informata, converrebbe soprattutto ascoltare le donne, le protagoniste di questa realtà. Per me ogni giudizio deve partire dall’ascolto delle donne (se no restiamo nel campo del sentito dire, o peggio del pregiudizio). Certo, sconsiglierei di cercare informazioni in testi che si spacciano per “ricerca sociologica” sul fenomeno GPA e che sono stati scritti senza intervistare neppure una donna che abbia fatto la GPA…
Comunque c’è il libro di Serena Marchi, “Mio, tuo, suo, loro” ed Fandango, che ne intervista diverse e dove si può sapere di più sulle motivazioni delle donne. Oppure si possono vedere molte interviste (ieri ce n’era qualcuna su Raitre, Chakra, si può ancora scaricare dal sito Raiplay.it) e si può sempre avere la pazienza di parlare con il migliaio di donne e uomini di Famiglie Arcobaleno e farsi raccontare le loro storie (anche le donne, che da anni condividono il loro percorso con gli uomini, conoscono molto bene la realtà della GPA).
Su questo punto mi asterrò. Su Facebook, una donna che non conosco mi ha rimproverato dicendo che a lei rimanere incinta ha solo causato piacere. Boh, che ne so io, io sono maschio e non ho l’utero, e in più le donne che ho conosciuto non mi han mai parlato della gravidanza in questi termini.
Comunque sia, sull’esperienza soggettiva della gravidanza, in base al principio per cui “Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere“, ritengo sia meglio che noi maschi tacciamo, lasciando che in futuro questa parte del dibattito la porti avanti chi può parlarne per esperienza vissuta.
Perciò, su questo, cedo la mano.
Proseguendo, alla mia osservazione sulla stranezza per cui il “dono” della GPA va sempre da una persona povera a una ricca e mai viceversa, e che alla fine senza un compenso in denaro nessuna si sognerebbe mai di contemplare tale “dono”, Gattuso ribatte:
Questa idea per cui tutto ciò che viene compensato col danaro è sporco, sbagliato, non mi convince. Anche i medici, gli infermieri, persino i missionari e i volontari in Africa prendono un compenso, ma nessuno dice che c’è qualcosa di errato. Chi ha un background comunista può capire che essere compensati è un diritto. Consiglio di leggere cosa dice in merito la (brava) sociologa Chiara Saraceno sull’ultimo numero di Giudicedonna (è online, …gratis! Volendo ci trovi anche un mio lunghissimo articolo sulla GPA).
Io ho un background comunista, pertanto affermo che il lavoro deve essere pagato: il lavoro non pagato si chiama infatti schiavitù.
Affermo però che procreare non è, e non può essere definito, un lavoro.
Tuttavia se davvero si vuole insistere sul fatto che lo è, allora sarà tale anche al di fuori della maternità surrogata, e qui si pone il problema, da me già sollevato nel mio articolo, della retribuzione del lavoro delle madri non surrogate. O forse andando a letto con un uomo una donna perde il diritto a veder retribuire il lavoro? Ossia, l’atto sessuale la rende una schiava?
In margine, non sono del tutto certo del fatto che Gattuso abbia letto tutto il saggio prima di consigliarmelo, dato che io vi leggo frasi come:
“Ancora, ed è più importante dal mio punto di vista, la madre surrogata dovrebbe avere il diritto di cambiare idea e di tenere il bambino. In questa prospettiva, il linguaggio e la struttura del contratto probabilmente non sono adeguati, perché la “produzione„ di un bambino non è la produzione di una merce. E mentre i genitori intenzionali hanno il dovere di riconoscere ogni bambino alla cui nascita hanno dato corso, “il loro diritto ad avere il bambino” che hanno commissionato dovrebbe essere limitato dal diritto della donna che l’ha partorito“.
Ebbene, se davvero la posizione dei sostenitori della GPA è questa, allora a queste condizioni sono possibilista. Devo solo capire perché mai tutti, ripeto tutti, i sostenitori della GPA con cui ho discusso finora si sono sempre ribellati con sdegno all’idea proposta da Saraceno, bollandola come “truffa” a danno dei “committenti”.
Gattuso passa poi a rispondere alla mia osservazione relativa al fatto che il compenso, per quanto sembri “piccolo” a noi, è un grosso incentivo per una donna del Terzo Mondo che come alternativa ha solo lavori da quattrocento euro all’anno:
Non è così. Una buona parte (forse la maggioranza) delle GPA viene effettuata in paesi ricchi: USA, Canada, UK, Israele.. Questo non toglie che sia vero che in tanti paesi sia effettuata in condizioni di bieco sfruttamento. Ma questo dovrebbe condurre a lottare contro lo sfruttamento, non contro la GPA. Inoltre forse va ricordato che le coppie gay italiane che ricorrono alla GPA lo fanno quasi sempre in U.S.A. e Canada (d’altra parte oggi sono gli unici paesi che l’ammettono legalmente per i gay stranieri). In questi paesi è assai superficiale e francamente sbagliato dire che le donne che fanno la GPA sono povere e costrette per bisogno. Inoltre va ricordato che alcuni dei paesi in cui vi sono condizioni di sfruttamento (Tailandia, Nepal) hanno chiuso o stanno chiudendo (India) la GPA agli stranieri. Peraltro in India c’è chi sostiene che non si potesse biasimare una donna indiana che poteva guadagnare in nove mesi quanti ne guadagna ora in dieci di anni di lavoro in condizioni di gravissimo sfruttamento (la cosa non mi convince appieno, ma fa riflettere sulla necessità di comprendere a fondo le dinamiche di culture per noi lontane). Infine, il fatto che una cosa sia fatta in condizioni di sfruttamento in un paese, non significa che sia il male in altri paesi: se certe scarpe sono realizzate da minorenni del terzo mondo in condizioni di disgustoso sfruttamento, io non compro più quelle scarpe, non giro scalzo.
Questo argomento fa acqua (salvo sul punto in cui dice che occorre combattere lo sfruttamento, ovviamente). A iniziare dal fatto che, come Gattuso stesso ammette, le coppie gay italiane vanno negli Usa solo perché altrove non possono andare: sarà magari un dettaglio, ma non è un dettaglio irrilevante. Se non ci fossero leggi approvate esattamente per salvare le donne di certe nazioni dalla riduzione a “fattrici”, le scelte sarebbero ben diverse, come lo erano dieci anni fa. Per capirlo mi basta colloquiare con un po’ di gay sostenitori della GPA (non Gattuso, chiaro). Troppo spesso infatti i miei interlocutori non riescono a vedere nulla di male nel fatto di “migliorare le condizioni economiche di una donna del Terzo Mondo grazie a una prestazione lavorativa“. La cosa che mi riempie sia di stupore che d’orrore è che costoro vedono sinceramente se stessi come potenziali benefattori delle donne del Terzo mondo. (Siamo passati dal fardello dell’uomo bianco al fardello dell’omo bianco?).
Il problema è che tale “beneficenza” può essere legittimamente invocata anche per il turismo sessuale. “I minorenni del terzo mondo in condizioni di gravissimo sfruttamento“, infatti, hanno scoperto che fare sesso con un turista occidentale permette loro di guadagnare in mezz’ora quanto guadagnano in un mese nella fabbrica di scarpe testè nominata. Eppure, noi occidentali abbiamo criminalizzato questa occasione di miglioramento economico, ostacolandola in tutti i modi. Cosa c’è di diverso nel ragionamento del pedofilo che dice di “migliorare le condizioni di vita” dei bambini con cui fa sesso? Cosa c’è di sbagliato in chi dice che “non si può biasimare un bambino indiano che poteva guadagnare in nove mesi quanto ne guadagnava in dieci anni di lavoro“? No, non c’è nulla di “sbagliato” nel ragionamento, poiché esso si limita a registrare un dato di fatto, oggettivamente vero. Ingiusto, ma vero.
La parte sbagliata sta insomma nella nostra cecità al fatto che la donna che si sottopone per bisogno alla GPA e il ragazzetto che per bisogno si prostituisce agli occidentali sono entrambi casi in cui noi diamo l’ingiustizia per scontata, la trattiamo come un dato di fatto che non si può combattere: esiste, come esistono i monsoni, i terremoti, la vecchiaia e la morte. Invece di chiederci come tagliare alla radice le cause dell’ingiustizia, si cerca di approfittarne, “migliorando” le condizioni di vita delle vittime dell’ingiustizia pagandole se fanno sesso con noi, o se restano incinte per noi. Cose che però, se non tenessimo noi il denaro dalla parte del manico, non si sognerebbero mai di fare. C’è qui alla base un ragionamento profondamente distorto, profondamente sbagliato.
Aggiugerò che utilizzando questo ragionamento altrove mi sono sentire ribattere (non da Gattuso, chiaro) che il mio è un atteggiamento sessuofobico, in quanto sono contrario allo sfruttamento del corpo di una donna per una gravidanza, però non obbietto se quello stesso corpo è sfruttato a una catena di montaggio. La conclusione (sbagliata, perché il mio ragionamento funziona in senso inverso: lo sfruttamento dei corpi umani è immorale anche alla catena di montaggio) svela come i ragionamenti “libertari” attorno alla GPA partano dal dogma (anarco-)capitalistico, non discutibile e non negoziabile, secondo cui lo sfruttamento del corpo umano è inevitabile, quindi, a che pro fare tanto chiasso se esso viene esteso, grazie al progresso tecnologico, a campi fin qui neppure immaginabili?
Me lo sento ripetere di continuo: “Non puoi farci nulla, è inutile opporti, perché tanto questo è il progresso“.
No, non lo è affatto. E mi oppongo. Vedremo poi se davvero sarà stato inutile.
Proseguiamo:
Il paragone con la vendita di organi è molto frequente ma è sbagliato. La donna gestante non “vende” alcun organo ma “fa” qualcosa: la gestazione per altri. Giuridicamente diremmo che esegue una prestazione, ma è una prestazione talmente straordinaria, unica nel mondo del diritto, che vive di un intreccio di relazioni così personali, profonde e intime, che anche il termine “prestazione” non soddisfa. In ogni caso, non c’è comunque vendita di alcunché.
Marco Gattuso ragiona da giurista (e fa bene, visto che è il suo mestiere) proponendo sottili modifiche del significato delle parole che abbiamo tutti usato fin qui. In base a distinzioni giuridiche note ai professionisti del suo rango, afferma che non è lecito parlare di “vendita”. E sono certo che (è il suo mestiere!) secondo il Diritto le cose stiano esattamente come dice lui.
Proviamo però a ragionare secondo il metodo di Bertoldo, scarpe grosse e cervello fino, ossia col metodo usato da quel 99,9% della razza umana che non lavora come giurista. In una stanza entrano da un lato un ostetrico, un avvocato e una donna con un bambino, dall’altro una coppia gay con denaro. Restano un poco nella stanza, dopodiché da un lato escono il dottore e l’avvocato e la donna col denaro, dall’altra la coppia, senza il denaro, ma col bambino. Domanda: secondo voi cosa penserà mai il povero Bertoldo che possa essere accaduto in quella stanza? Davvero tutte le sottigliezze dei Brocardi possono, secondo voi, convincerlo del fatto che “non c’è comunque stata vendita di alcunché“?
Ovviamente Gattuso avrebbe ragione da vendere se mi replicasse: “Io sono un giurista e ragiono da giurista: quel che pensa il 99,9% della razza umana rispetto al concetto di “vendita” non mi riguarda, io rispondo solo alla definizione che ne dà il Diritto“. E una volta di più farebbe bene: è il suo dovere, anzi noi cittadini paghiamo lui e i suoi colleghi affinché ragionino in quel modo e in nessun altro. Ciononostante, siamo di fronte a due diversi concetti di cosa sia una vendita. Da un punto di vista giuridico l’esistenza di due concetti distinti è indifferente: tanto fra due concezioni in tribunale vince (quasi!) sempre quella conforme al dettato della legge. Tuttavia da un punto di vista politico, la cosa conta eccome, visto che lo 0,1% non pesa quantro il 99,9%. Tanto è vero che la ricerca di un compromesso che tenga conto del fatto che la GPA esiste è fin qui fallita non per ragioni giuridiche (i giuristi si sono rivelati altamente creativi, da questo punto di vista!) bensì per ragioni squisitamente politiche.
Proseguendo, Gattuso contesta la mia affermazione secondo cui nessuna legge impedisce a una donna di concepire un figlio con uno sconosciuto e tenerselo:
Gattuso: Questa informazione, veicolata recentemente da alcuni giuristi anti GPA è, purtroppo, non del tutto esatta: in Italia nessuna clinica può consentire l’inseminazione di una donna da parte di un uomo estraneo, poiché lo impedisce la legge 40, che consente esclusivamente che un donatore dia il seme a una coppia con la conseguenza che il donatore non può mai essere considerato padre. Dunque non è possibile alcun percorso di procreazione medicalmente assistita (quale è la GPA) ma sarebbe necessario un rapporto sessuale (o più..) tra due soggetti estranei preordinato a procreare (o il ricorso all’autoinseminazione).
Ehm, no. Non stavo parlando d’inseminazione in vitro: se davvero serve posso spiegare quali alternative ad essa esistano in natura (vietato ai minori di 18 anni).
Infine. Laddove io affermo che l’intricatissima impalcatura contrattuale su cui si regge la GPA non è secondo il mio modo di vedere pensata per dare accesso alla genitorialità a persone che altrimenti ne sarebbero escluse, bensì a garantire l’esclusione dalla genitorialità di persone in grado di concepire un figlio, Gattuso ribatte:
Questo, fra tutti, è l’errore più comune in tema di GPA: non c’è alcuna esclusione di alcun genitore. I genitori del bambino, infatti, sono quelli che creano l’embrione (tramite fecondazione in vitro) che in caso di problemi di salute della donna (asportazione di utero, presenza di malattie trasmissibili al feto) viene trasferito in una donna che si presta per la gravidanza, detta appunto “gravidanza per altri”. Ma la gestante non è la mamma del bambino. Non vuole essere la mamma del bambino e il figlio non è percepito come suo nè da lei nè dal resto della sua famiglia. I figli della gestante non pensano che la loro madre abbia in grembo un loro fratellino o sorellina che sarà poi ceduto a terzi. Sanno che la mamma ha ricevuto un embrione dai suoi genitori a cui lo restituirà. Come stabilito dalla Corte suprema della California (non proprio una corte a digiuno di diritti…), la madre intenzionale è la “natural mother” del nato, perché è lei che lo ha voluto e perché quel bambino è nato proprio perché la gestante non voleva essere madre.
Su questo punto avevo già scritto, ma ovviamente il fatto che io l’abbia già detto non implica che la questione sia stata risolta, pertanto mi ripeterò.
Lo farò ribadendo che vorrei capire da dove spunta questa improvvida riesumazione del “diritto del sangue”, già superata dalla legge sull’adozione speciale (n. 184 del 1983), ossia che il genitore sia esclusivamente la persona che ha fisicamente concepito l’embrione, opponendosi all’idea che un bambino possa essere dichiarato figlio di qualcuno di cui non condivide il “sangue”. L’adozione speciale si chiama così perché quella ordinaria, che abbiamo ereditato dal Diritto romano, non creava nuovi rapporti “di sangue”. L’adottata aggiungeva il cognome dell’adottante, ma continuava a restare figlia di chi l’aveva messa al mondo. L’adozione “speciale” invece la trasforma in figlia a tutti gli effetti (tanto che un padre adottivo non può sposare la figlia adottiva più di quanto possa sposare una figlia “carnale”).
Questo principio è costato lotte e battaglie, contro una mentalità arcaica che riteneva solo i “legami di sangue” fossero “veri”, eppure il ritorno alla visione delle cose risalente a mezzo secolo fa viene oggi presentato come un progresso!
Ebbene, Gattuso così replica a questa osservazione:
La GPA non mette al centro il legame di sangue, ma anzi esalta il progetto, la assunzione consapevole della responsabilità genitoriale, la genitorialitá di intenzione. I principi che la reggono sono esattamente quelli della genitorialitá intenzionale, basati non sul DNA ma sulla volontà (abbiamo dedicato a questo aspetto un bel convegno in tribunale a Bologna proprio la settimana scorsa). Peraltro in alcuni stati degli USA e in molti paesi può anche mancare un legame genetico con entrambi i genitori intenzionali.
Questa però non è una risposta, bensì una vaga dichiarazione di princìpi. Se per la genitorialità basta l’intenzione, allora la “madre surrogata” che sviluppasse, durante la gravidanza, tale intenzione, diventerebbe a tutti gli effetti, inclusi quelli presi in considerazione dai sostenitori della GPA, la madre della bambina. Pertanto strappargliela sarebbe un crimine. Se invece l’intenzione non bastasse, allora rimarrebbe ancora da stabilire cosa mai basti, tenendo conto del fatto che stiamo parlando di princìpi che valgono non per qualche decina di bambini procreati con questo metodo, ma per sette miliardi di esseri umani, che sulla questione potrebbero voler dire la loro… e avrebbero il pieno diritto di farlo.
Per finire, su quello che “pensano” i figli che vedono “dare via” dalla madre un loro fratello preferisco non scrivere. Vorrei che fosse uno psicologo dell’età evolutiva a farlo: né i giuristi, né io, siamo le persone più adatte. Io riesco solo a pensare a quanto fosse crudele la stupida minaccia “educativa” diffusa ai tempi della mia infanzia: “se fai il cattivo ti vendo all’Uomo Nero e ti faccio portare via“. Lo scopo era terrorizzare il bambino, e veniva raggiunto. E chiudo qui il discorso, ma non perché sia concluso, bensì perché meriterebbe un commento altrettando lungo di questo, che non è il caso che io scriva qui ed ora.
Fin qui la risposta a Gattuso. Credo che non occorra essere Occhio di lince per notare che fra le sue prespettive e le mie esiste una cospicua divaricazione di punti di vista, che oltre tutto attraversa il movimento lgbt non “verticalmente” in base ai sessi, come è accaduto più volte in passato, ma orizzontalmente, con maschi e femmine in entrambi i campi. Come peraltro è giusto che sia di fronte alle questioni etiche.
Come uscirne? Magari, propongo, ragionando all’inverso, ossia partendo dalle cose sulle quali siamo d’accordo tutti, nessuno escluso, per capire in quale punto le nostre visioni hanno biforcato, e su quali punti possiamo almeno iniziare a concordare di concordare.
Ad esempio, partiamo dalla vendita dei neonati. Gattuso, la Famiglie Arcobaleno, io, i sostenitori della GPA, siamo tutti coralmente contrari alla compravendita di bambini. Ottimo, abbiamo trovato un terreno comune. Da qui partiamo allora per chiederci: quali sono i princìpi in base ai quali tutti noi affermiamo che vendere i bambini deve rimanere illecito, come lo è già oggi? Se lo capissimo, avremmo ulteriore terreno comune, che potremmo allargare ulteriormente.
Dopodiché, potremmo esplorare, allontanandoci da questi princìpi condivisi, in quale punto la brutale “compravendita del bambino” e la “cessione volontaria in cambio di un rimborso spese” diventino due concetti separati, e capire perché lo facciano o non lo facciano, e quindi cosa ci differenzi.
Da oppositore della liberalizzazione della GPA fatico peraltro a trovare un compromesso per colpa del fatto che alcuni sostenitori della GPA pensano, senza neppure accorgersene, che visto che una soluzione sulla GPA andrà comunque trovata, dato che si moltiplicano i bambini nati grazie ad essa i cui diritti sono danneggiati dall’assenza di una legislazione chiara, allora non serve cercare compromessi e che tanto vale puntare alla pura e semplice “liberalizzazione”. Come rivela il termine “proibizionista” che scagliano contro chiunque esprima perplessità sull’affitto del corpo umano.
Personalmente dubito che la soluzione sia la pura e semplice liberalizzazione (“Escluuuusi i caaaasi di sfruttamentoooo, ovviamenteeee!”) propugnata da certuni, esattamente come la soluzione al problema della tossicodipendenza non è l’eroina liberamente venduta in tabaccheria. La risposta che mi do io (per adesso) è che il solo compromesso accettabile per tutta la società in questo istante è al solito quello che miri a soddisfare le esigenze dei bambini già nati con questa tecnica, non quelle degli adulti.
Per il futuro, poi (ma ho bisogno di rifletterci su ancora, magari cambiando ulteriormente idee), personalmente io riterrei già soddisfacente il compromesso raggiunto in Brasile, dove la GPA è consentita solo gratuitamente, e solo tra parenti di primo e secondo grado.
Anche questo per me è un “compromesso”, in cui concedo più di quanto vorrei, perché anche questa soluzione lascia spazi a grosse perplessità (“Cara sorellina, se vuoi che non impugni il testamento di nostro padre, devi farmi da madre surrogata“), tuttavia sono disposto a concedere che entrare ulteriormente nelle motivazioni dei rapporti famigliari resusciterebbe il peggior “Stato etico hegeliano”, in cui la legge si arroga di poter stabilire lei, al posto della società, cosa sia morale o immorale.
In fondo, nella storia, quanti milioni di zii e zie hanno “fatto da madre” o “da padre” ai figli dei fratelli e delle sorelle sovraccarichi di marmocchi, o prematuramente scomparsi? Quanti nonni hanno allevato i nipoti orfani? Queste soluzioni sono collaudatissime dalla storia umana e non suonano inaudite, quindi questo potrebbe essere il compromesso su cui riconoscerci.
Dico al condizionale “potrebbe”: sia perché resto comunque pieno di perplessità all’idea di un feto che non è considerato un figlio, ma un parassita che si gonfia nel corpo d’una donna estranea in attesa del momento di espellerlo, sia perché non ignoro che sul tema della GPA in un campo e nell’altro abbiamo bande armate di tagliagole che non intendono fermarsi prima d’avere sterminato tutte e tutti gli oppositori. Sta a noi impedire che ci riescano.
Nota: di questi argomenti discuterò venerdì 17 novembre alle 18 presso il centro “RiMake, in via Astesani 47, Milano.
https://www.facebook.com/events/126934968009106/
Ottima replica!
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“Ma la gestante non è la mamma del bambino. ” Come?! La madre è sempre la gestante, non chi mette il seme. Altrimenti, cosa pensa il magistrato del caso (triste) dei “gemelli del Pertini”? Quanto poi al discorso “esiste la GPA anche nei paesi ricchi”. Ma davvero c’è chi, in buona fede, crede che nei paesi ricchi non ci siano i poveri? O, se non i poveri, almeno i “meno ricchi”….
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