Nel mio recente saggio-intervista contro il queer affermo che troppo spesso in Italia le adesioni al pensiero queer sono semplice frutto di moda, come dimostra il fatto che gli adepti nostrani non comprendono neppure i concetti fondamentali introdotti dalla loro moda accademica. Mi è stato chiesto: “Con chi ce l’hai?”.
La risposta è: “con nessuno”. Perché io ce l’ho con una idea e una prassi politica (e non a caso l’intervista mi è stata proposta da un gruppo politico), e non con una persona. Sono anzi sbalordito da come, nell’epoca della scomparsa (provvisoria) dei partiti, ogni questione politica venga ormai buttata sul piano personale/personalistico. Le risposte (via Facebook) a venti pagine di mie argomentazioni e critiche sono infatti state: “Mi hai offeso”, “Mi hai insultato”, “Sono offesissim*”, oppure: “Tu sei come Adinolfi”, oppure: “Sei un vecchio dinosauro, dobbiamo solo aspettare che tu crepi”.
Il che non fa altro che confermare la mia accusa sul fatto che il queer (tolti cento accademici, che comunque non interagiscono con la razza umana, passando il tempo a lodarsi e citarsi a vicenda) è una moda a cui si aderisce solo per fare contenti l’amichetti sua, che parlano usando il gergo queer, senza neppure capire cosa sostenga.
Per chiarire questo punto vorrei presentare un esempio concreto.
Per iniziare, non m’interessa sapere chi sia l’autore, che neppure conosco di persona. Mi interessa semmai sottolineare che il pezzo è stato scritto e pubblicato sul più noto (e in passato, autorevole) sito gay italiano, “Gay.it”.
Posso addirittura spingermi ad affermare che più che una critica all’autore qui sarebbe opportuna una critica alla testata: quando ero io a dirigere testate gay, un pezzo con quelle incongruenze sarebbe rimbalzato all’autore con la richiesta imperativa di rivedere la terminologia. Il fatto che ciò oggi non avvenga più non implica che io sia un vecchio dinosauro destinato all’oblio per il suo attaccamento a prassi ormai obsolete, bensì l’esatto opposto, ossia che il volo delle nuove specie di giovani e pimpanti pterodattili corazzati non ha davanti a sé un grande futuro evolutivo a fronte dei discendenti attuali dei dinosauri (i passerotti).
L’articolo che esemplifica la mia accusa ruota attorno a un pesciolino ermafrodita, il Serranus Tortugarum, a cui nel 2016 il quotidiano “La Repubblica” dedicò un articolo (Emilio Vitaliano, Il pesce cambia sesso 20 volte al giorno, ma resta fedele al partner, “La Repubblica”, 5 agosto 2016), insistendo però più sulla monogamia di questa specie che sul fatto che tutti gli esemplari sono in grado di produrre sia uova sia spermatozoi.
Il concetto fu ripreso il 9 agosto da “Gay.it” con uno spiritoso articolo dal titolo: Intervista impossibile al pesce più LGBT che ci sia: cambia sesso fino a 20 volte al giorno, che nel sommario specifica: “Il Serranus Tortugarum è un piccolo pesce simbolo della fluidità di genere. Ecco dalla sua viva voce com’è essere un animale in perenne transizione“.
Cosa non va in questo pezzo? A parte lo stile brioso, tutto.
Primo, ci si chiede in che modo la condizione di ermafroditismo coincida con quella di “più LGBT che ci sia“. Essere lesbica vuol dire essere ermafrodita? No. Essere gay? No. Essere bisessuale? No. Essere trans*? Neppure in questo caso: la persona transessuale transiziona da un genere all’altro, non è l’esponente di una specie di “terzo sesso” intermedio fra l’uno e l’altro. E allora da dove nasce l’equivalenza tra “LGBT” ed ermafrodita? Io sarò un “dinosauro”, ma questa qui è la pura e semplice riesumazione della rottamatissima tesi ottocentesca del “terzo sesso”, o del concetto arcaico di omosessualità come uno dei 43.046.721 (sic) tipi possibili di “Condizioni sessuali intermedie” caro a Magnus Hirschfeld, concetto nel frattempo – non so se dalle parti queer qualcuno se ne sia già accorto – ampiamente screditato da un secolo.
Secondo, nel titolo il pesce cambia “sesso“, però una riga sotto, nel riassunto, all’improvviso è il simbolo della “fluidità di genere“. Le due parole e i due concetti vengono qui usati come se fossero intercambiabili, cioè come se significassero la stessa cosa. Nella realtà dei fatti il Serranum Tortugatum, essendo ermafrodita, per definizione non ha “un” sesso: li ha entrambi. Può quindi avere semmai solo “funzioni” sessuali. La rete pullula d’immagini di coiti di animali ermafroditi nelle quali si vede ogni individuo che contemporaneamente penetra ed è penetrato. Chi è il “maschio” e chi è la “femmina”? E quando avverrebbe dunque il “cambio di sesso” (o genere)?
Nel nostro caso specifico, i due componenti della coppia si alternano nelle “funzioni” maschile e femminile, espellendo dal corpo a volte uova a volte spermatozoi, ma senza “cambiare” mai la struttura fisica dell’apparato genitale, che rimane sempre uguale. Dunque, da dove nasce la fantasticheria della “fluidità” e della “transizione” che ci rifila “Gay.it”?

Terzo, nella misura in cui il pensiero queer ci ha abituati a parlare inizialmente del “sesso” come di un puro dato biologico (ossia come dell’insieme degli elementi che in un organismo biologico attengono alla funzione riproduttiva) laddove il “genere” è un puro dato culturale, socialmente costruito, privo di collegamenti non arbitrarii con il sesso, risulta impossibile parlare di “genere” trattando degli animali. Perché ci sia “genere” deve esserci una società (umana), e una costruzione sociale (umana). Gli animali dunque non hanno genere: hanno istinti, e questo è quanto.
Anzi, la questione è ancora più complicata, dato che alcune branche del pensiero postmoderno / queer si sono spinte a teorizzare non solo l’indipendenza fra sesso e genere, ma addirittura la centralità del genere rispetto al sesso biologico, fino ad arrivare alla lettura del sesso come “epifenomeno” del genere. In queste visioni della sessualità il genere finisce per essere l’unico elemento ad avere una esistenza in sé, ontologica, laddove sesso e orientamento sono solo conseguenze marginali, epifenomeni appunto, dell’esistenza del genere.
Come chiarisce Lorenzo Bernini (un queer italiano che, a differenza dei miei bersagli, i “testi sacri” della sua religione li ha letti e capiti), spiegando il pensiero di Judith Butler:
“è il sesso che deriva dal genere, e non il genere dal sesso. Butler si spinge ancora oltre: fin da Scambi di genere (1989) ha sostenuto infatti che nell’ordine simbolico tradizionale il genere è un epifenomeno dell’orientamento sessuale”. (Lorenzo Bernini, Maschio e femmina dio li creò!? Il binarismo sessuale visto dai suoi zoccoli (2), “Nazione indiana”, 17 settembre 2008).
Quarto, a ulteriore conferma della mancata comprensione da parte di “Gay.it” della differenza fra “sesso” e “genere”, nel testo appare l’ossimoro “genere sessuale“, e qui davvero siamo al caos concettuale.
Cercando di comprendere cosa possa voler dire per “Gay.it” questo ossimoro posso magari ipotizzare che anche il pezzo, esattamente come me e contrariamente alle tesi queer, rifiutasse di teorizzare l’assoluta indipendenza fra sesso e genere, e li vedesse come fenomeni correlati. Tuttavia, se questa fosse la spiegazione, allora per esprimere questo concetto la terminologia queer sarebbe decisamente la meno adatta, visto che è nata per negare, e non per affermare, l’esistenza di tale correlazione.
Quinto, e questa è la mia critica più severa, mischiare tanto giulivamente sesso, genere, e orientamento “LGBT”, trattandoli come tre nomi diversi di un unico fenomeno, non è innocuo. Questa identificazione costituisce infatti ciò che è stato identificato con la presunta “Teoria del gender”, contro la quale si battono i cosiddetti “no gender” e tutte le “Sentinelle in piedi” assortite (dopodiché, quello che “parla come Adinolfi” sarei io!).
E infatti, inevitabilmente, eccolo qui l’articolo: Serranus Tortugarum, il pesce “gender-fluid” che piace alle comunità LGBT, su “Osservatorio gender”, 12 agosto 2016, che riporta trionfalmente il pezzo di “Gay.it” quale prelibato esempio di “Teoria del gender“. Tombola!
Questi sono errori politici che costano cari. A cosa serve sfiatarsi per dimostrare che la “Teoria del gender non esiste”, per poi trovarsi confutati sulle pagine stesse di “Gay.it”?
Se a un certo punto ti cascano le braccia, un motivo ci sarà…
Concludendo.
Dopo quanto ho scritto, sono “infondate” le mie accuse secondo cui nel movimento lgbtqiaedfslfksdl troppi “queer” parlano senza neppure capire cosa stanno dicendo? Chi mi legge consulti l’articolo che ho citato, legga le mie tesi, e giudichi se io abbia ragione o torto.
Il dibattito politico e culturale del resto funziona in questo modo, ossia confrontando le tesi, e non certo giocando a chi riesce a dimostrare di essere maggiormente offes*.
Perché la politica, perfino la umile e disprezzata politica LGBT, è una cosa seria.
Articolo che fa riflettere. Senza dubbio il queer sta facendo grande confusione fra sesso e genere, facendoli coincidere (pericolosissimo sia per gay, lesbiche e bisessuali, sia per il femminismo stesso) o arrivando perfino a dire che il sesso è un costrutto sociale e che gli omosessuali sono attratti da uno stesso genere (non da uno stesso sesso!), teoria già diffusissima in UK e negli Stati Uniti.
Penso che come hai detto tu se si vuole essere attivisti LGBT bisogna almeno saper distinguere fra sesso e genere…
In ogni caso bell’articolo, fa sempre piacere vedere una persona in grado di argomentare, quindi al di là di se io sia d’accordo o meno trovo I tuoi articoli davvero utili.
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Grazie. 🙂
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Io sono pansessuale e demisessuale. Conosco i gay, i ttsve e trans, i gender fluid ma magari non conosco gli asessuali o tutti gli altri. Non è che mi devo seguire una lezione per conoscere tutto quello che include il mondo lgtbq eppure ne faccio parte. Così come faccio parte degli italiani ma non so com’è un napoletano o un trentino o un romano. Semplicemente non ho avuto modo di conoscerli e distinguerli.
Capisco il tuo discorso sulla moda del momento legata anche ad una certa politica ma il fatto che la moda o la politica si siano invischiate e invitate da sole, o no, a gettar luce su questo tipo di argomenti non deve oscurare o pregiudicare il nostro modo di essere. Io non sono una di quelle persone pignole ( che hanno molto tempo a disposizione) che vanno a cercarsi il significato di tutti i termini. No, io sono empirica, ossia magari mi capita di conoscere una persona e parlando scopro cosa è. Tutto qua. Non sono laureata in teorie di genere e non m’interessa. Io vivo la mia identità e sessualità senza dover spiegare niente a nessuno.se mi va mi racconto altrimenti vadano a fare enciclopediche ricerche.
Non ho simpatia per chi simpatizza con noi gay solo per moda o pitica, cosi come non ho simpatia per chi piange per i profughi e non per gli italiani.
Ne farei proprio a meno di questa gentaglia.
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Gentile Amleta. Io affermo semplicemente che quando si monta in cattedra per insegnare agli altri cosa sia il fenomeno X o il fenomeno Y, la prima cosa che si chiede è sapere di cosa stai parlando. Punto.
Ognuno ha diritto a vivere in modo “empirico”, senza porsi domande, giulivamente. Ma chi per lavoro o scelta politica queste domande le pone, a sé o agli altri, ha il preciso dovere di essere informato, e di sapere cosa vogliano dire le parole che sta usando. Non ci si mette ad insegnare agli altri la ricetta del risotto alla milanese se non si sa la differenza fra riso ed orzo, o fra burro ed olio.
E tutto questo a prescindere dal tema trattato, sia chiaro.
Ciao.
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Sai il tuo esempio mi fa ricordare un programma che c’è in questi giorni e che tratta di cucina e ci sono dei cuochi e la loro brsvura in gioco. Ebbene a volte vie e richiesto un piatto al di fuori del menù e si presume che ogni chef lo sappia fare, come appunto il risotto alla milanese, eppure ti dico che spesso quei cuochi esperti hanno toppato. Questo per dire che non si ha mai una conoscenza completa di ogni materia. Certo è preveribile l’umiltà all’arroganza ma si sa, gli uomini sono da sempre orgogliosi e non dicono mai la verità 😉
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