Daniela Tomasino, una delle personalità di spicco di Arcigay fra le più vicine alle posizioni queer / intersezionali, nonché candidata alla presidenza nazionale dell’associazione al prossimo congresso, sul suo profilo Facebook ha pubblicato il 9 settembre 2018 il commento che riproduco qui sotto:
Trascrizione per chi usa un browser vocale:
Diciamolo: “La mia opposizione culturale al non binarismo” suona come “la mia opposizione culturale ai negri, gay, lesbiche”… Come ci si oppone ad una realtà?
Da domani mi oppongo culturalmente alla pioggia, ho deciso”.
Questo “ragionamento” dimostra per l’ennesima volta l’insostenibilità delle posizioni queer: chiunque le proponga al di fuori del mondo virtuale dei social media o delle torri d’avorio accademiche per commentare la realtà, entra immediatamente in conflitto o con la teoria queer o (più di frequente) con la realtà.
Come chi mi legge certo saprà, infatti, per il pensiero postmodernista (di cui fa parte la teoria queer / intersezionale) non esistono “realtà”, o “fatti”. Esistono solo “interpretazioni”, o “narrazioni”. La “realtà” in cui noi esseri umani viviamo è socialmente costruita.
Ad esempio, la costruzione sociale (tipicamente umana) del genere ci porta a illuderci che esista una “realtà biologica” chiamata “sesso”, e dato che i generi (un palese e arbitrario costrutto sociale) sono due, i sessi sono stati fissati arbitrariamente in: due. Si parla per questo di “logica binaria“. In realtà però il sesso è, come già il genere, un continuum, e quindi possono esistere quanti sessi vogliamo. E logicamente, anche quanti generi vogliamo.
Peccato che sia un fatto che i sessi biologici siano due (o, per usare il linguaggio di Daniela, è “una realtà” che lo siano) e che a variare possano essere unicamente le definizioni umane, che sono meri costrutti sociali, di cosa “costituisca” “per davvero” il sesso. Per questa ragione pochi giorni fa ho scritto che è assurdo credere che possano esistere identità di genere “non binarie”, ossia che prescindano dall’esistenza di corpi sessuati secondo due tipologie.
Ovviamente possono esistere ruoli di genere non-binari (anzi, scopo del movimento femminista e di quello gay è abolire del tutto i ruoli di genere), tant’è che in questo istante ne esistono sulla Terra circa sette miliardi, in crescita. Nessun essere umano aderisce infatti allo stereotipo di genere in modo tanto perfetto da rendere superflua la continua ed ossessiva re-imposizione sociale dei ruoli di genere anche con la violenza, soprattutto da parte dei maschi.
Dunque, l’opposizione culturale (ed io aggiungerei, politica) alla tesi (che è una purissima costruzione sociale) della presunta esistenza di identità di genere “non binarie”, è perfettamente legittima e sensata.
Se però non si è dispost* a seguirmi su questo ragionamento su questa parte dell’affermazione di Daniela, allora è possibile ribaltarlo nel metodo e dimostrare, usando gli strumenti “decostruttivi” della teoria queer, che neppure la pioggia è “una realtà”, anziché una costruzione sociale. Del resto molti anni fa, quando iniziai la mia battaglia contro l’attacco queer, chiesi sarcasticamente perché la mania “decostruttice” queer si accanisse solo e soltanto contro l’omosessualità, laddove ogni esperienza umana è socialmente costruita, e quindi volendo si sarebbe potuto decostruire qualsiasi altra cosa, per esempio l’esistenza di uomini e donne. Ebbene, sono stato “accontentato”, ed oggi i cervellini queer hanno “decostruito” i sessi, insegnandoci che per essere femmina o maschio ci è sufficiente “identificarci” come tali ed oplà, lo diventiamo. Noi non “abbiamo” infatti un sesso: esso ci viene soltanto imposto, “assegnato alla nascita”. (Da qui le demenziali circonlocuzioni “assigned male at birth” e “assigned female at birth“, in sigla “amab” a “afab“, che iniziano già a fare capolino anche in Italia).
E sia, ma se stiamo giocando allo sfascio, allora questo è un gioco che siamo capaci di giocare tutti, come dimostra la recente contro-offensiva femminista che afferma che il concetto di “identità di genere” è un costrutto sociale (e in effetti lo è, in quanto in una società umana tutto è, o viene fatto diventare, un costrutto sociale!) “quindi” non è reale. Be’, uno splendido esempio di “decostruzione”, non c’è che dire! (Peccato solo che essa accentui lo sfascio anziché porvi rimedio; come ho già avuto modo di denunciare).
Una superficiale occhiata alla voce dell’umile Wikipedia mostra che la “pioggia” esiste unicamente come costruzione sociale. Essa infatti costituisce semplicemente uno stato del ciclo dell’acqua, quello della condensazione, senza ulteriori specificazioni.
Se chiedessimo a un bambino cosa sia, ci direbbe più umilmente che è “acqua che viene giù dal cielo”, e forse questa definizione la troveremmo tutt* più familiare.
Ma è giusta?
Ovviamente no.
Esiste il fenomeno della “pioggia orizzontale”.
L’acqua che viene giù dal cielo in condizioni di temperatura particolari è chiamata “neve”, con nome ben distinto, come se fosse un fenomeno ben distinto dalla pioggia.
Altre volte la chiamiamo invece “grandine”.
Stranamente invece non chiamiamo “pioggia” varie altre forme di ricondensazione del vapor acqueo, dalla rugiada alla nebbia…
Non vi pare strano, non vi pare terribilmente arbitrario, tutto ciò? Be’, in effetti lo è. Basta rifletterci per un istante e diviene chiaro che per poter parlare di “pioggia” capendosi a vicende occorre diamo per scontata un’enorme quantità di concetti sottintesi, che sono, tutti, culturalmente costruiti. Come dimostra il fatto che lingue e popoli ed epoche diverse danno ai fenomeni di ricondensazione nomi diversi.
Non basta. In che senso parliamo di “acqua”? La pioggia che cade a Milano è fatta di acqua, sì, ma anche d’innumerevoli sostanze, in genere nocive, che spesso non si riscontrano nella pioggia che cade sul Sahara, che invece ne contiene altre (non necessariamente innocue) assenti in quella che cade su Milano. Quale dev’essere la percentuale di sostanze presenti in quella pioggia perché essa cessi di essere chiamata “acqua che cade dal cielo”? E quando tale limite fosse superato, con quale altro nome dovrà essere chiamata tale ricondensazione?
Una “pioggia radioattiva” oppure una “pioggia acida” sono la stessa cosa di una pioggia di acqua praticamente pura? Ovviamente no: basta giudicare dai loro effetti su ciò con cui vengono a contatto per capire empiricamente che non sono la stessa cosa. Fingere che si tratti dello stesso fenomeno è quindi chiaramente solo una convenzione sociale, una convenzione linguistica, ossia un costrutto sociale.
La verità fisica è che se andiamo ad esaminare tutti gli elementi costitutivi di ciò che definiamo “pioggia” non esistono due “piogge” uguali l’una all’altra.
Ne concludiamo che la “pioggia” non è “una realtà”: è un fenomeno culturalmente costruito tanto quanto il sesso biologico “binaristico”, e quindi è legittimo “opporsi culturalmente” al concetto che essa esista (per lo meno se si è queer). Non esiste infatti “una” pioggia. L’idea che “o piova o faccia bello” è binaristica. Il ciclo dell’acqua è un continuum che al proprio interno permette infinite variazioni e gradazioni, ognuna delle quali ha il preciso diritto d’essere identificata con un nome diverso, esattamente come la sigla del movimento lgbtquiaapquyrstuvazadfòalkfòdslfa. Chi rifiuta questo dato di fatto è metereofobo e gli va impedito di esprimere in pubblico il suo punto di vista!
A Daniela va il mio sentito ringraziamento per avere attirato la nostra attenzione sull’analogia esistente fra il negare la realtà dell’esistenza di soli due (e non duemila) sessi biologici, e il negare l’esistenza della pioggia. Infatti lo stesso ragionamento (o meglio, lo stesso cavillo paralogistico) usato per negare la prima cosa, si applica e funziona altrettanto bene per negare la seconda… come pure negare l’esistenza dell’omosessualità, o della città di Palermo.
E mentre noi decostruiamo allegramente ogni cosa, guidat* dai guru e dalle pithonissae queer, la pioggia continuerà a cadere fregandosene delle 9999 classificazioni che il pensiero queer sarà stato capace di escogitare per negarne l’esistenza, le persone che amano solo persone del loro sesso continueranno ad amare solo le persone del loro sesso, e la riproduzione della razza animale chiamata “Homo sapiens sapiens” continuerà ad avvenire per fusione di due gameti, e non di venti, e non di ventimila, portati da due individui, e non da venti, e non da ventimila, appartenenti a due distinte categorie di portatori di gameti, e non di venti, e non di ventimila.
Vero, la realtà a volte è così volgarmente, ottusamente, testardamente “binaristica“… però non cessa di essere la realtà.
Un pensiero su “Dove l’autore mostra, con sottilissimo metodo queer, che la pioggia non esiste!”