Siamo TUTTI “speciali”

(Lo scritto che segue commenta questo articolo: https://www.intersezionale.com/…/cosa-vuol-dire-essere… )

Una delle mille “novità” del pensiero queer /postmoderno di cui faremmo tutte e tutti volentieri a meno è la rivendicazione della sindrome di Asperger come parte della collezione di medaglie da esibire per rivendicare il proprio irriducibile individualismo.

Ovviamente coloro che rivendicano tale “neurodiversità” non sono quelli che soffrendo di autismo grave non riescono a imparare a parlare, uscire da una stanza, interagire col mondo, no, sono tutte persone giusto un po’ musone o scorbutiche, incredibilmente narcisiste ed egocentriche, ma perfettamente funzionali, che rivendicano la sofferenza devastante delle vere persone con la sindrome per rivendicare un trattamento speciale perché loro sono speciali.

Per favore, leggete questo articolo, per capire tutto ciò che non funziona nel pensiero queer. La ragazza che lo ha scritto rivendica novantaquindici condizioni di oppressione dovute al suo essere superspeciale.

Lo fa in modo perfino comico. Per esempio, rivendica d’essere parte dello spettro trans perché non si riconosce nel ruolo di genere che il patriarcato impone alle donne, senza accorgersi del fatto che sta dicendo parola per parola ciò che affermano le cosiddette TERF, che negano di avere una cosa chiamata “identità di genere” proprio per questo motivo: perché il genere è una camicia di forza che va distrutta, e non affermata, celebrata e protetta. Nessuno è “cisgender”, perché nessun essere umano si riconosce nelle gabbie mentali imposte dal “genere”: siamo tutt* transgender, perché tutti usciamo dai ruoli imposti. Eccetera.

Tuttavia la signorina che scrive questo pezzo crede di essere unica e speciale per il fatto di non riconoscersi in un ruolo oppressivo. La sua mancanza di empatia e di solidarietà umana verso chi soffre davvero di disforia di genere, e soffre anche solo a pensare o vedere allo specchio il proprio corpo, è straordinaria, è totale.


Parimenti, l’autrice del pezzo rivendica d’essere parte dello “spettro asessuale” in quanto, pensate un po’ voi, desidera fare sesso solo con le persone che l’attraggono e non con chiunque passi per la strada, “quindi” ciò fa di lei una “demisessuale”.

Forse però, più che altro, costei ha semmai un problema a definire cosa intenda il suo cervello con “sessualità”, dato che solo gli stupratori pensano che qualcuna possa eccitarsi a fare sesso con qualcuno che non le interessa e non l’attira.

Siamo quindi tutt* demisessuali, e, se si parla di stupro, decisamente tutt* asessuali.

Eccetera.


Questa persona si è anche auto-diagnosticata l’autismo e trova offensivo che i suoi amici neghino che ne soffra, discutendone con lei, negando la sensatezza di simili auto-diagnosi.

In realtà la tizia si limita a dimostrarsi, nel suo scritto, egocentrica ed asociale. È incapace – e non per colpa sua, ma perché cresciuta nella bolla dell’egocentrismo ideologico neoliberista – di ri/conoscersi negli altri, di com/patire, di vedere se stessa negli altri e viceversa. Di considerare gli altri come risorsa anziché come problema. Di trovare i punti che l’accomunano con gli altri esseri umani anziché quelli che la dividono da loro.

Il suo problema non è quindi neurologico, ma politico.

Per carità, se proprio la signorina rivendica orgogliosamente di essere “neurodiversa” al punto da scriverci articoli, chi sono io per negare che lo sia? Se è tanto importante per lei esserlo, non obietterò.
Ciò a cui obietto è semmai il fatto che lei rivendichi il diritto politico all’egocentrismo, il rifiuto di chiedersi se per caso ciò che sperimenta e vive sia ciò che sperimenta l’intera razza umana in quanto umana.

Personalmente considero politicamente irrecuperabile la sua generazione, che SUL PIANO POLITICO (si noti per cortesia questa limitazione di campo) può produrre solo o sciacalli asociali o schizzati asociali.
Quali siano i danni che l’anarco-capitalismo ha inflitto alla civiltà occidentale e al mondo lo sta rivelando la crisi del Covid-19. Mia nonna non ha diritto di chiedermi di non farla morire prematuramente se io ho voglia di bermi un “ape” con gli amici alla sera. Letteralmente, crepi.
È giusto che crepino i vecchi, quegli avidi mostri attaccati a soldi che dovrebbero essere nostri. Eccetera eccetera.
Quante volte le abbiamo lette, queste idee, specie sui social, in questi mesi?

Ma una società che adotta questo princìpi, mantenendo il profitto come unico (presunto) legame sociale, smette di essere una società, e diventa un branco di lupi famelici.
Gli Usa ci stanno dando un ottimo esempio di cosa voglia dire essere così. I giornalisti discutono apertamente chiedendosi se scoppierà una guerra civile o no (ovviamente no, ma vent’anni fa nessuno si sarebbe neppure permesso di chiederlo).

La “patologia” (fra virgolette: da come scrive a me pare perfettamente neurotipica) di cui soffre l’autrice di questo articolo è politica, non neurologica. Quando capirà che ogni essere umano è diverso, unico e speciale, e che quindi non c’è assolutamente nulla di speciale e di particolare nel suo essere speciale (lo sono tutti, quindi anche lei è proprio come tutti noi) potrà liberarsi dal suo disagio di vivere, e capire che la causa delle sue difficoltà è quella cosa che si chiama vita, con le sue ingiustizie e con gli egoismi di chi ritiene il diritto di sfruttare ed opprimente gli altri.
Divenga adulta, come prima o poi deve fare, esca, e l’affronti.
Lotti per cambiare la società.
E se non ce la fa, ci chieda aiuto, perché essendo anche noi come lei, sappiamo cosa vuol dire essere vivi, e che difficoltà comporti, e quindi possiamo aiutarla.

E lo possiamo fare perché la sua analisi è farlocca: perché anche noi, come lei, siamo “neurodiversi”, e nessuno corrisponde alle caricature che lei intende imporci come i modelli a cui, secondo lei, noi dovremmo aderire.

Nel ciò fare, magari, un minimo di umiltà aiuterebbe (il fatto che ciascuno di noi percepisca se stess* come il centro del mondo, non implica che lo sia davvero), anche se trattandosi di un’adepta del pensiero “solo-io-ho-capito-il-mondo-perché-sono-queer”, non ci scommetterei troppo.

Però sperare è gratis, ed io un po’ lo spero comunque (se no, non sarei qui a scrivere).

2 pensieri su “Siamo TUTTI “speciali”

  1. insomma giovanni , mi ha fatto leggere l’articolo … Sulla sindrome di asperger non so dire ma su tanti altri dettagli mi sa che anche io dovrei definirmi neuro queer … anch’io qualche volta sono ansioso … non troppo e mi mangio le unghie … ma mi controllo … Battute a parte .. penso che ci sia, oltre ad alcune difficoltà che oggettivamente la persona che scrive evidenzia e che io non conosco, un bisogno di specialità individuale che mi ricorda in parte ( e qua gioco un po per sorridere) quelle chiacchierate di anziani che fanno a gara e chi ha avuto più malattie …
    un abbraccio

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