Riflessioni sul concetto di “storia transgender”

Ho appena acquistato il libro di Susan Stryker, Storia transgender. Radici di una rivoluzione, Luiss University Press, Roma 2022. ISBN 9788861058859 , € 23.

Non l’ho ancora letto (giusto sfogliato) quindi quella che segue non è una recensione, tuttavia sono estremamente intrigato dal concetto stesso di “storia transgender”, destinato a creare cortocircuiti logici nel variegato universo postmodernista/queer, che per trenta e passa anni ci ha cucinato la tesi che non possa esistere una “storia gay” in quanto sarebbe “essenzialista” (per loro una cosa bruttissima, signora mia) presumere che l’oggetto dello studio, l’omosessualità, sia un’entità dotata d’una esistenza ontologica propria, duratura e riconoscibile nel corso dei secoli (in parole povere, che esistesse anche nel passato).

L’omosessualità essendo, a loro dire, una “costruzione sociale” moderna, una brutta invenzione dei medici dell’Ottocento, tolta la quale resta solo l’essere umano perverso polimorfo, totipotente e libero di esprimersi in ogni modo.

A cosa puntasse questa retorica lo vediamo oggi, quando ci viene detto che l’omosessualità non è l’attrazione per lo stesso sesso, dato che anche il sesso è una costruzione sociale, ma per lo stesso genere. E quindi l’omosessuale può e deve avere rapporti sessuali con persone del sesso opposto, se costoro affermano di “sentirsi” del genere opposto. Terapia riparativa, ma di sinistra.

Invece il genere, questa misteriosa essenza indefinibile invisibile e impalpabile che somiglia *non* stranamente all'”anima” dei cattolici, di cui veniamo tutti forniti alla nascita che lo vogliamo o no, è un dato immutabile, ontologicamente vero, anzi, è l’UNICO dato vero. Infatti se il tuo “genere” e il tuo sesso sono in conflitto, è “ovviamente” il tuo sesso a essere “sbagliato”…


Quindi, viste queste premesse, è mai possibile una “storia transgender”, all’opposto di quanto deciso per la “storia omosessuale”?

Tenendo conto del fatto che il libro non l’ho ancora letto, ma solo sfogliato, la risposta che vi vedo emergere è sì e no.

Una buona fetta iniziale del libro è divorata, come è tipico della storia queer, dalla Cabala parolistica delle definizioni, perché in effetti il teatrino queer funziona solo all’interno del tenero mondo di propria invenzione. Quindi, se non gioca alle condizioni stabilite dai queer, tutto il resto non funziona, ossia, non ha il minimo senso.

Dopodiché la “storia” inizia a metà Ottocento (rispettando così l’ortodossia foucaultiana sulla “costruzione medica” della sessualità), e ovviamente è imperniata unicamente sulla sola, unica e originale Nazione Indispensabile: gli Usa.
E’ quasi imbarazzante il modo in cui una storia che fino al 1949 si è svolta soprattutto al di fuori degli Usa, sia narrata in modo tale da praticamente non nominare mai tutto ciò che non si è svolto fuori dai confini degli Usa.
Non è un semplice bias, è un programma ideologico.


Ora, stupirà sapere che sulla storia trans proprio io, “il transfobico Dall’Orto”, ho una posizione “essenzialista”, che mi ha portato in passato a incrociare le lame con femministe intransigenti che affermavano, specie su “Twitter”, che il transgenderismo è una costruzione sociale contemporanea, che non è mai esistito fino a che non ce lo siamo inventati, e che come ce lo siamo inventati possiamo farlo sparire se solo decidiamo di farlo, come in effetti loro hanno deciso di fare.

La mia posizione è invece che il fenomeno della disforia è sempre esistito, che nella storia passata abbiamo documentazione di moltissimi casi di persone che affermavano di appartenere al sesso opposto, e questo non solo negli Usa del XIX secolo d.C., ma anche nella Mesopotamia del XIX secolo a.C.

Certo, ogni epoca ha interpretato questo dato in modo diverso, dandone spiegazioni e valutazioni diverse, esattamente come è accaduto col fenomeno omosessuale, ma questo dato preesiste all’invenzione di questa o quella parola, di questo o quel concetto, che non hanno mai (nominalisticamente) “creato” il fenomeno, ma si sono limitate a “dargli un nome”.
“Gay” e “transgender” esistono in effetti solo dal dopoguerra, tuttavia “persone attratte solo dal proprio sesso” e “persone con disforia” esistevano anche ben da prima, solo che venivano “lette” e spiegate e denominate in modo diverso (rispetto al nostro) sia dalla società in cui vivevano, sia da se stesse.

In altre parole il volume di cui sto parlando conferma solo che il “transgenderismo”, nel senso inteso oggi sui social media, sia una costruzione sociale statunitense del secondo dopoguerra, esportato nel resto del mondo dagli Usa, e a tal punto americano da rendere impossibile riconoscerne precursori o antenati al di fuori degli Usa. Il che non implica affatto che non siano esistite persone che desideravano e affermavano le stesse cose che sono al centro della condizione trans oggi, ma le esprimevano con termini e concetti diversi da quelli intesi oggi sui social media.


Da questo punto di vista, quindi, la scelta di questo volume di trascurare il resto del mondo e il resto della storia umana è perfettamente corretta: il transgenderismo esiste solo come portato dell’ideologia unipolare statunitense, e credervi costituisce fondamentalmente un atto di fede e di ossequio verso la Potenza Egemone.
Separatamente da esso esiste poi il fenomeno della disforia umana, che in base a ciò che mi ha insegnato lo studio dei documenti storici io ritengo non sia affatto una costruzione sociale, ma che sia radicato nei funzionamenti dei cervelli umani, e di cui abbiamo documentazione sin da quando abbiamo documenti. Esso si è espresso in mille modi, che nulla hanno a che vedere col “transgender” dell’Impero Americano.

Un esempio? Il “Femminiello” napoletano: stile di vita “trans” altrettanto coerente e culturalmente solido di quello “transgender”, e che nulla deve alla tradizione statunitense, visto che è documentato almeno a partire dal XVI secolo, prima ancora che un uomo bianco avesse messo piede negli Usa e avesse iniziato a sterminare gli indigeni per fare posto alla Vera Civiltà Del Futuro. (E visto che parliamo di libri, le ultime due uscite in proposito sono: Monica Florio, Storie di guappi e femminielli, Guida, Napoli 2020. ISBN 9788868666323 € 15, e Roberto Delle Cese, Illuminosa Tarantina. Il romanzo di un femminiello napoletano, Effigi, Roma 2022. ISBN 9788855244732, € 16).

Non ho dubbi sul fatto che questa lettura sarà istruttiva, ma anche molto, molto divertente.

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