Bebè, spermatozoi e lesbiche.

(Nell’illustrazione: “Due uomini non fanno una madre”. Campagna pubblicitaria dell'”Associazione provita”).
Innanzi tutto, per chi non avesse seguito la polemica, partiamo dai fatti (li riproduco da un comunicato di Agedo):

Lo scorso giugno il Sindaco di Milano Sala ha dato il via alla registrazione degli atti di nascita di alcuni figli di Famiglie Arcobaleno registrando entrambi i genitori, ma queste registrazioni riguardano solamente i figli di due mamme, mentre viene negato ai figli di due papà.
A questo punto una coppia di padri inizia l’iter giudiziario che porta il Tribunale di Milano ad ordinare la rettifica dell’atto di nascita della figlia, nata quattro anni prima in California grazie alla gestazione per altri.
Il Sindaco rilascia delle dichiarazioni che lasciano increduli affermando che, essendo un tema così sensibile, non lo possono affrontare solo dal punto di vista legale ma anche morale: di qui la decisione di portarlo in giunta ove esistono sensibilità diverse.
Uno dei Consiglieri ha richiesto che venga istituita una Commissione Congiunta avente per oggetto il riconoscimento della doppia paternità, a cui sono stati invitati a partecipare solo soggetti che sono contrari a queste registrazioni, tra cui Arcilesbica, non prendendo neppure in considerazione di invitare a partecipare Famiglie Arcobaleno“.

Questa è invece  la spiegazione fornita sia sulla pagina Facebook di Arcilesbica nazionale, sia sul sito della Libreria delle donne:
MILANO: NON SI PUÒ CHIEDERE DI CERTIFICARE L’IMPOSSIBILE

Nessuno nasce da due uomini. Chi invece va all’estero per aggirare il divieto italiano contro l’utero in affitto premedita di imporre l’iscrizione anagrafica del/la neonata come figlio/a “di due padri”, strumentalizzando “il migliore interesse del/la minore”. Il migliore interesse del/la minore è non essere separato/a per contratto e per soldi da chi l’ha messo al mondo: sua madre.
Apparteniamo al movimento femminista e al movimento lgbt, e in nome della non commerciabilità dell’umano siamo contrari/e all’utero in affitto. Se ci sono creature nate da GPA, egoisticamente private della madre e registrate con un solo genitore, il/la partner del genitore devono, se lo vogliono, chiedere di essere registrati come genitori adottivi – adozione in casi particolari-.
In caso contrario si istituirebbe per le persone omosessuali una corsia privilegiata, mentre la Costituzione (art. 3) ci vuole uguali davanti alla legge.
In nome della verità, c’è un genitore e un genitore adottivo, non due padri.
Siamo, inoltre a favore della riforma della legge sulle adozioni, così da permettere un’adozione che tuteli appieno gli unici diritti concreti: quelli del bambino.
Resta tutta la costernazione di fronte alla messa al lavoro della gravidanza, e alla separazione immediata del/la neonato/a dalla madre (si impedisce perfino l’allattamento per evitare l’attaccamento e la continuazione della relazione fusionale): non è ai diritti dei bambini che pensano gli utilizzatori della gpa, ma al proprio vanto.
Se vi sono tuttavia bambine/i già al mondo via Gpa, che il genitore non biologico intraprenda il percorso dell’adozione, e non si pretenda che lo Stato certifichi ciò che non può darsi.
Come Rete contro l’Utero in Affitto, infine, accogliamo con interesse l’istituzione di una Commissione presso il Consiglio Comunale di Milano che discuterà di utero in affitto e delle registrazioni dei cosiddetti “due padri” all’anagrafe, e ci rendiamo da subito disponibili a essere audìte.

Rete contro l’Utero in Affitto (ArciLesbica, RadFem Italia, RuA, Se non ora quando-Libere, Se non ora quando-Genova, Udi), Aurelio Mancuso.


I 4 errori di questa scelta

Dopo avere esposto i dati, ecco ora il mio commento.
Pur essendo io dichiaratamente contrario alla GPA, e quindi essendo sullo stesso lato della barricata su cui sta Arcilesbica, sono stupito dell’errore tattico commesso: allearsi con cattolici e nemici delle coppie omosessuali (incluse quelle lesbiche) per opporsi a una sentenza di tribunale… E questo, si badi bene, solo nel caso che si parli di due gay, non quando si parli di due lesbiche. L’azione è talmente assurda che sfiora l’autolesionismo, dato che chiunque nota che qui si sono usati i classici “due pesi e due misure” per due problemi identici.

Individuo almeno quattro gravi errori strategici in questa scelta, al di là della giustezza della causa di combattere contro la GPA (che chi mi legge ha il pieno diritto di ritenere una cosa giusta, e che io ho il pieno diritto di ritenere una cosa sbagliata).


1° errore: prendersela con i bambini

Il primo errore deriva dal fatto che ad essere colpita nel caso in esame non è il “colpevole” (o presunto tale) dell’atto oggettivamente illegale in Italia (il ricorso alla GPA) bensì la bambina, che non ha nessuna colpa.
Fare politica sulla pelle dei bambini non è mai una buona idea, soprattutto per chi vuole essere di sinistra.
In passato si faceva attenzione a non compiere errori di questo tipo, pertanto giudico questo atto come un segno d’imbarbarimento del dibattito nel mondo lgbt italiano.
O peggio ancora, di una totale assenza del dibattito, ragione per cui si agisce d’impulso, senza badare alle conseguenze a lungo termine delle proprie azioni, salendo sul primo carro ideologico che passa, senza neppure badare se per caso non sia, come lo è in questo caso, il carro del boia o quello del becchino.

2° errore: accettare le idee dei nemici

Il secondo errore è rendere manifesto a tutti, amici e nemici, la propria mancanza di prospettive politiche autonome, alleandosi con forze e correnti che vogliono né più né meno che l’eradicazione delle rivendicazioni lgbt.
Che Arcilesbica si senta isolata e assediata non è cosa che stupisca: lo è. E non necessariamente per colpa propria. Certe evoluzioni culturali postmoderne e “queer” che vanno per la maggiore considerano la liberazione omosessuale un vecchiume fuori moda.
Ciononostante la reazione istintiva di rifugiarsi nelle certezze d’un tempo, come il culto della Grande Madre, oppure nel biologismo cattolico (“maschio e femmina… la Natura li creò!“), per quanto umanamente comprensibile (se anneghi, ti aggrappi a qualsiasi cosa ti permetta di stare a galla), è del tutto inutile a infondere nuova linfa al movimento delle donne lesbiche (se anneghi, e ti aggrappi a uno squalo, non migliori la situazione). Il futuro non guarda all’indietro.
Una mossa di questo tipo serve solo, come è appena accaduto, a costringere a suonare la musica dell’orchestra presso cui si è chiesto asilo, dopo lo sbando della propria.

3° errore: dichiarare guerra ai maschi gay

Il terzo errore è avere aperto un fronte interno contro la fantasmatica entità chiamata “imaschigay“, e questo in un momento in cui il lesbofemminismo ha bisogno di alleanze, non dell’apertura di ulteriori fronti, essendo già assediato su tre lati e mezzo.
Certo, io ragiono da maschio. Quindi, care compagne di Arcilesbica, può sfuggirmi la logica che spinge voi donne lesbiche a dire che è molto meglio allearsi con le donne cattoliche e neofasciste, che sono pur sempre donne, che con i gay che dopo tutto, anche quando sono di sinistra, sono solo maschi al quadrato.
Per decenni le donne mi hanno insegnato che i maschi non hanno diritto di giudicare le scelte politiche delle donne relative alle donne. E quindi su questo punto mi fermo qui.
Resta però ovvio che i maschi hanno tutto il diritto di giudicare le scelte politiche delle donne relative ai maschi, che è esattamente il caso di cui stiamo parlando, dato che Arcilesbica pretende che vengano disattese le sentenze del tribunale solo quando si trova davanti a due maschi, avendo in precedenza taciuto quando si trattava di due donne nel medesimo Comune di Milano.
Certo, chi condivide l’iniziativa ribatte che “imaschigay” stanno facendo un gran baccano per niente, come ha osservato su Facebook “Rita Nightwalqueer”:
Secondo me si tratta di tanto rumore per nulla. AL [Arcilesbica] dice che il bambino dovrebbe avere un padre e un padre adottivo. Mi chiedo se sia davvero un problema“.
Nightwalqueer

Ora, una volta considerato il piccolissimo dettaglio, qui taciuto, che intenzionalmente la legge italiana non prevede la “stepchild adoption che qui ci si sta proponendo, possiamo giungere alla conclusione che sì, cara Rita, è davvero un problema. E mi sento anche un po’ preso per il culo a veder proporre una strada che la legge intenzionalmente esclude, e questo per precise scelte ideologiche fatte dal Partito Democratico al momento di votare la Cirinnà.
Ma anche se quanto proposto fosse possibile (e non lo è) resta da capire in base a quale logica tale richiesta debba essere valida se si è in presenza di due maschi, ma non se lo si è di due femmine. Lo sa anche un bambino che una norma che discriminasse i cittadini e le cittadine in base al loro sesso sarebbe anticostituzionale. Quanto accecati dal fanatismo occorre essere, per non ricordarlo?
E qui chiariamo un punto. Le donne di Arcilesbica continuano a lamentare il fatto che i maschi gay stanno lasciando sole le donne lesbiche contro l’attacco che stanno subendo in questo istante.
Ecco, alle compagne chiedo: ma davvero non credete che il vostro fare politica dichiaratamente contro gli uomini gay non possa essere (oltre al maschilismo, all’egoismo, all’invidia maschile dell’utero e tutto quanto altro vogliate elencarmi, per carità) una causa non piccola di tale mancanza di solidarietà? Davvero pensate che coloro a cui sputate in faccia siano tenuti a mostrarsi solidali con voi?
Qui non stiamo parlando di GPA. Stiamo parlando del fatto che voi trovate accettabile, anzi lodevole, discriminare i maschi su una questione qualsiasi. Se si parla di princìpi, non si fanno eccezioni. Ricordate solo che alla fine saremo tutt* giudicat* con le leggi che avremo permesso noi di scrivere, e che questa regola vale anche per voi, e soprattutto per le madri lesbiche.

4° errore: credere al “solo sesso indispensabile”

Il quarto ed ultimo errore di strategia, su cui vorrei parlare più a lungo perché sembra un tema fantasma, sta nello slogan presentato come motivazione: “Nessuno nasce da due uomini“.
Il che è fattualmente vero.
Tuttavia, a parte improbabili interventi dello Spirito Santo, è altrettanto fattualmente vero che nessuno nasce da due donne. Amen.
Quindi tale motivazione non “motiva” proprio un bel niente. Fra i mammiferi occorrono due sessi diversi per procreare. Nessuna femmina ha mai concepito e gestato senza il contributo di un maschio.
Mi chiedo quindi cos’abbia preso alle compagne di Arcilesbica per spararsi in questo modo da sole sui piedi.
In passato ho già avuto modo di discutere con alcune compagne proprio su questo punto perché, stranamente, erano sì contrarie alla GPA, ma solo per le coppie maschili e per quelle eterosessuali. Per le donne erano invece, chissà come mai, disinteressatamente disposte a fare qualche eccezione, a patto che essa rientrasse nella solidarietà gratuita fra donne, per esempio tra madre e figlia, o fra sorelle.
Ed anche coloro che erano un attimino più coerenti non comprendevano la mia posizione, secondo cui la compravendita dei gameti, come quella di qualsiasi altra parte del corpo umano, doveva essere proibita, punto. Il corpo umano, affermavo, non dev’essere compravendibile, punto e basta.
No, mi ribattevano, la sola compravendita degli spermatozoi dev’essere consentita, anzi l’abrogazione dell’unico punto della legge 40 ancora in piedi (quello che proibisce l’inseminazione eterologa alle sole coppie lesbiche) è una delle rivendicazioni qualificanti del movimento delle donne lesbiche.
Alla mia obiezione secondo cui, dal punto di vista del concepimento (che è cosa diversa dalla gestazione), l’importanza di un ovulo e di uno spermatozoo è assolutamente e totalmente uguale, ribattevano che no, non è affatto la stessa cosa. L’uomo produce spermatozoi a miliardi, la donna invece solo uno o pochi ovuli alla volta, quindi all’uomo non costa nulla darne via qualche miliardo e accomodarsi gentilmente alla porta. “È come tagliarsi i capelli o le unghie” (sic).
Ovviamente, siccome le mie interlocutrici erano persone gentili e sensibili, trovavano giusto pagare il giovanotto per il disturbo: prenda buon uomo, si paghi un caffè. La porta è sulla destra. A mai più rivederci.
Ebbene, no, non è così che funziona. Se procurarsi ovuli è assai più difficile che procurarsi spermatozoi, allora nel caso si ammetta che è lecito compravenderli ciò implicherà soltanto che per la legge della domanda e dell’offerta gli ovuli avranno un prezzo molto più alto di quello degli spermatozoi (come in effetti è già). Non certo che gli ovuli non debbano essere vendibili, perché sono una merce rara, mentre gli spermatozoi sì, perché sono merce comune. Anche i diamanti son rari, tuttavia non per questo è proibito venderli. Anzi!

Il maschio è un inutile fuco?

Ma non proseguirò oltre su questo ragionamento, perché è un altro il punto che mi preme discutere qui. Ossia, che questa visione della riproduzione umana esprime una visione del mondo che è comprensibile ed ha senso unicamente all’interno della condizione lesbica. Pertanto, non ha nessuna speranza d’essere accettato dal resto della società, a partire proprio dalle donne eterosessuali, che sono portatrici di interessi esattamente in conflitto con quelli delle donne lesbiche.

Io nella mia vita non ho mai incontrato donne eterosessuali che vedessero l’uomo come semplice “impollinatore” che ha il dovere di fornire la prestazione d’impregnare, per poi sparire dalla vita dell’impregnata.
Al contrario, tutte le donne eterosessuali che ho conosciuto hanno sempre manifestato il problema esattamente inverso, ossia che il patriarcato ha insegnato al maschio che è suo diritto disinteressarsi dei figli, dato che per qualche strano motivo “Le donne sono più adatte a cambiare i pannolini ai bambini“.
Non solo le donne che ho conosciuto nella mia vita non aspiravano affatto ad incontrare questo mitico impollinatore che arriva, ingravida e se ne va, ma al contrario cercavano un uomo “responsabile” prima di pensare a far figli (e il fatto che in Italia se ne facciano così pochi ci dice qualcosa sulla facilità di trovarne!).
Una coppia lesbica non sa cosa farsene del “terzo incomodo” per cambiare i pannolini. Ma nella coppia eterosessuale un maschio per definizione c’è, e le donne eterosessuali preferiscono che costui sia – se possibile – il padre della nuova vita, e che come tale condivida metà del fardello del suo mantenimento e della sua educazione.
Quest’aspirazione è sancita nelle leggi (che volendo si possono cambiare, ma che sono le leggi in vigore qui ed ora). Nel matrimonio, tanto religioso quanto civile, un padre non può disconoscere il figlio, a differenza della madre che ha un brevissimo periodo-finestra subito dopo il parto in cui può chiedere che la creatura sia registrata/o come “di madre ignota” (però se lo fa dopo quel periodo, è incriminabile per “abbandono di minore”).
Il marito invece non ha neppure quel periodo: salvo casi rari ed eccezionali il figlio nato dalla moglie è automaticamente suo figlio. Per dirla in gergo legalese, “la verità giuridica prevale sulla verità biologica“.

Nel caso di coppie non sposate il padre non ha l’obbligo del riconoscimento, però esso può essere comunque richiesto per vie legali dalla madre e dopo una certa età dal/la figlio/a stesso/a, come molti celebri casi di cronaca hanno reso manifesto. Il mantenimento della nuova persona è un dovere al punto che, qualora il padre biologico fosse morto, può essere chiesto dalla madre anche ai suoi eredi, o qualora a morire fosse stata la madre, può essere chiesta dagli eredi di lei entro due anni dalla morte, e infine può essere chiesto sempre dal minore. Perché mantenere il figlio è un dovere stabilito per legge sia per il padre sia per la madre. Questo succede nel Diritto dell’intero Occidente.

Non basta. Nel 2006 un tribunale del Michigam ha dovuto affrontare un caso molto interessante. Una donna aveva avuto con un uomo una relazione, che però era terminata. Dopo la rottura si era però accorta d’essere incinta. Lei aveva deciso di tenere il bambino, contro il parere del padre biologico. E come è noto, in materia di aborto (giustamente) è solo ed esclusivamente la donna a poter decidere se tenere o meno il figlio.
Alla nascita il padre aveva chiesto al tribunale d’essere esentato dal dovere di mantenere una bambina che non aveva voluto. Il giudice gli ha dato torto, e così fino al 18mo anno l’impollinatore avrà il dovere di contribuire al mantenimento del “frutto dei suoi lombi”. (Il che è a mio parere giusto, perché ogni maschio che abbia più di otto anni sa come si fanno i bambini, quindi anche come non si fanno. Se costui ha evitato di pensarci, la gravidanza non è stata una “fatalità”, bensì una sua responsabilità).

Non a caso dopo la sentenza di quel caso, Kim Gandy, allora presidente della “National Organization of Women”, dichiarò alla CNN:

Se la donna abortisce, lui non ne ha alcuna responsabilità. Se la donna partorisce, lui non ne ha alcuna responsabilità. In entrambi i casi, se pronuncia questa frase magica, non ha alcuna responsabilità.
Gli uomini hanno cercato da molti anni di scaricare la responsabilità per i loro figli. Questo uomo qui non deve farla franca
“.

Ebbene, quel che le donne lesbiche stanno chiedendo è la cancellazione di questa tradizione di leggi, allo scopo di allevare i figli assieme alla propria compagna (o anche da sole), senza avere un maschio che possa pretendere di avere una qualche “responsabilità” in quella nascita.

Aspirazione per molti versi comprensibile (dal loro punto di vista), ma… realistica? Condivisa? Socialmente utile? Nell’interesse del minore? Sensata?
Davvero si pensa che il 95% eterosessuale delle donne sia disposto a rinunciare al principio secondo cui “caro maschio, se hai procreato una figlia, sei responsabile del suo mantenerla fino all’età adulta“?
Davvero insomma non si nota come in questo caso abbiamo un palese conflitto d’interessi fra donne lesbiche e donne eterosessuali? Perché qui, per dare nuovi diritti alle donne lesbiche occorre togliere vecchi diritti a quelle eterosessuali


Perché i maschi non sono fuchi (piaccia o no)

E ovviamente occorre toglierne anche ai poveri, inutili impollinatori, che le donne lesbiche non riescono proprio a capire a cosa cavolo possano mai servire, ma il cui ruolo nella vita d’un bambino, me lo si consenta, di norma va ben oltre la procreazione. In gergo, fra noi comuni mortali, li chiamiamo “padri”. E perfino, “papà”.
Ecco, secondo centinaia di milioni di donne al mondo è necessario un cambiamento sociale e culturale che educhi questi cosiddetti “papà” a una maggiore presenza nell’educazione dei figli.
In altre parole, non occorrono affatto “meno papà tra i piedi” nella stanza del piccolo, a cambiargli i pannolini, bensì l’esatto inverso. Dubito quindi che le due opposte rivendicazioni siano compatibili fra loro.
Quale delle due deve prevalere? Ditemelo voi, per favore.
In margine, noterò solo di passata quanto sia ridicolo e paradossale che la visione lesbica del maschio – impollinatore che feconda e fugge, coincida col sogno patriarcale dell’atto sessuale “privo di conseguenze”. Cosa chiedono mai i maschi patriarcali, se non d’essere sollevati dalla responsabilità della procreazione conseguente alla loro ricerca del piacere? Un piccolo sfogo, e poi: “Signorina, da che parte è la porta?”. Magari pagando la giovanotta per il disturbo: prenda buona donna, faccia un regalino ai suoi figli di buona donna, e a mai più rivederci.

Non vi siete rese conto, care compagne, che la commissione di cui avete scelto di fare parte è stata istituita esattamente per sancire che la procreazione (non, “la maternità”, non “la gestazione”, ma proprio il “fare figli” in senso ampio) è roba da donne, che non deve riguardare i maschi? “Due uomini non fanno una madre” non è uno slogan vostro, è del “Movimento per la Vita”. La cosa non vi fa suonare un allarme?
No? Davvero non vi siete rese conto d’essere cascate nella trappola della “mistica della maternità”, che vede le donne come o madri o puttane, magari spartendovi i ruoli: per voi, “mistiche madri” e per le “femministe intersezionaliste”, “sex workers“?


Come potremo evolvere in futuro?

Provo a tirare qualche conclusione da questo fatto di cronaca.
Quanto sto per scrivere è un parere strettamente personale; ciò premesso, credo fermamente che la problematica della MINORANZA del mondo lgbt che aspira alla genitorialità non verrà risolta con la GPA, che non solo o prima o poi verrà messa al bando come già lo è stata la schiavitù, ma al di là di ciò, costa quanto un appartamento, ed è una soluzione per i ricchi, non per chi non lo è. Ossia la grande maggioranza di noi.
Neppure l’adozione (eccezion fatta per la stepchild adoption, dove un bimbo già esiste) è una soluzione, dato che il crollo demografico e la contraccezione hanno per fortuna causato ovunque il tracollo del numero dei minori in stato di abbandono, al punto che nel 2014 erano censite ben sette famiglie in cerca d’adozione per ogni minore in stato di adottabilità. In parole povere, sei famiglie adottive su sette (86%) non riusciranno mai a realizzare il loro sogno.
Il giorno in cui venisse infine permessa l’adozione anche alle coppie dello stesso sesso (a differenza di quanto accade oggi), aggiungere al totale qualche centinaia di nuovi aspiranti genitori servirà solo a portare la percentuale delle potenziali coppie adottive che non ottengono l’adozione più vicino al 90% di quanto non lo sia oggi.
Ed anche se quel giorno qualche decina di coppie dello stesso sesso riuscisse infine nel proprio intento, per le migliaia di coppie lesbiche e gay che aspirano invano alla genitorialità si tratterebbe comunque solo d’una goccia nel deserto.
Saranno quindi necessariamente altre, le modalità e le strategie adottate dal mondo lgbt per venire incontro al desiderio di genitorialità d’una minoranza dei propri componenti.
Quand’ero giovane, s’era già iniziato ad esplorare alcune di queste strategie (poi arrivò l’Aids, e rese un padre gay la scelta più stupida che una donna lesbica potesse fare).
Conobbi di persona due coppie, una gay e una lesbica, vicine di casa, che avevano generato con la procreazione assistita due bambini (un padre con una madre e l’altro padre con l’altra madre), che curavano assieme. I bambini avevano due padri e due madri, e due case in cui vivevano, mangiavano, facevano i compiti di scuola. Le vacanze erano in comune fra le due famiglie, che di fatto erano un nucleo di sei persone.
L’ex presidente nazionale di un’importante organizzazione gay ha ricevuto da una cara amica single eterosessuale la proposta d’essere il padre di suo figlio, ed ha accettato. Quando il bambino (che ha ovviamente riconosciuto) è nato, il suo accudimento è ricaduto anche su di lui (mi ricordo il piccolo mentre scorrazzava per la sede dell’organizzazione gay, “Perché questo weekend è il mio turno curarlo: la madre è in gita“).
Eccetera. Non voglio limitare a questi due esempi (che però ho visto coi miei occhi) le possibilità, perché questo è un campo di sperimentazione aperto alla realtà omosessuale, la quale non è legata ai limiti della famiglia tradizione eterosessuale. Che è poi quella difesa dagli alleati che Arcilesbica Milano ha appena brillantemente accettato come tali.

Conclusione (inevitabilmente provvisoria)

Dobbiamo quindi ricominciare a interrogarci su quale sia il senso della genitorialità all’interno d’una relazione omosessuale, e soprattutto a discuterne fra noi. Preferibilmente al posto delle sterili, stupide e inutili diatribe su quanti generi possano ballare sulla punta d’uno spillo, che tanto inutilmente appassionano la giovane generazione di militanti lgbtqiakdòalfjkaflasdèà.
Fossilizzarsi su discorsi femministi che avevano un senso mezzo secolo fa ma oggi in un contesto cambiato significano cose sgradevoli e omofobiche, o sui discorsi dei vescovi della Conferenza Episcopale e di “Avvenire”, o viceversa partire per la tangente come le “intersezionaliste” (secondo cui per una donna battere il marciapiede è un gesto d’affermazione della libertà di gestire il proprio corpo) sono due modi altrettanto estremi per evitare di faticare per trovare soluzioni che non sacrifichino né i princìpi in cui crediamo, né i bisogni delle persone più deboli di questa vicenda.
Che non sono le donne, contrariamente a quanto sembra pensare Arcilesbica Milano, bensì i bambini.
Giovanni Dall’Orto, 16/11/2018

Un pensiero su “Bebè, spermatozoi e lesbiche.

  1. Il problema fondamentale lo hai capito benissimo anche tu, e va ben oltre del problema in questione. L’idea di una famiglia condivisa non è gradito alla maggior parte degli omosessuali giovani (uomini e donne) semplicemente perchè non è coerente con il processo di normalizzazione della variante omosessuale della famiglia ‘tradizionale’. Capisco benissimo che la cosa non ti sia gradita per varie ragioni ideologiche o culturali (o anagrafiche) man tant’è. Personalmente non considero la cosa un male, proprio perchè, come tu mi insegni, piuttosto che farsi guerra sui massimi sistemi, è agli interessi materiali che bisogna guardare. Ora, se si mettono da parte le fantasie sull’omosessualità quale strumento rivoluzionario (che possono interessare ad un marxista ed a nessun altro) è un dato di fatto che i tanto denigrati paesi anglosassoni o del nord Europa dove l’omosessualità viene normalizzata senza scardinare alcunchè tranne il bigottismo clericale ed il machismo l’omofobia è meno che presente che qui. Avendo vissuto in entrambi i contesti, avendo letto un po’ di statistiche, credo veramente che chiunque si racconti che gli sviluppi culturali della lotta all’omofobia nei paesi che tu condanni per reato di queerimperialsionplutocrazia hanno portato ad un clima dove per un giovane omosessuale crescere sereno è più facile. Anche se magari poi a scuola gli insegnano pronomi vari ed in russia c’è chi fa la gpa. Ed è a loro che il movimento lgbt dovrebbe pensare.

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