Manifestazioni LGBT+”velate”? Non si può.

Sta succedendo un fenomeno nuovo e direi surreale nel mondo LGBQIA. Ai giornalisti viene oggi proibito di riprendere le manifestazioni pubbliche “alternative” del mese del Pride (che in sé non sono cosa cattiva, visto che razza di disgustoso baraccone capitalistico è diventato il Pride ufficiale), per rispettare le sensibilità “diverse” di coloro che partecipano. Qui il punto di vista della principale testata gay francese sul fenomeno.

Ciò è estremamente pericoloso.

Non ne faccio una questione di libertà di stampa: ho già denunciato molte volte il lato autoritario se non parafascistico del mondo queer.
A loro della libertà d’informazione e del diritto di cronaca non frega nulla. Sono figli del mondo di Berlusconi e dei grandi monopolii “social” che censurano le “fake news” sgradite al Potere. Per loro tale situazione è giusta e normale: è il modo in cui l’informazione deve funzionare.
Il problema della censura per loro non è che ne esista una, ma solo che vogliono essere loro quelli che la esercitano. Quindi desiderano apertamente e dichiaratamente “controllare la narrazione” altrui: è il modo postmoderno di fare politica. (Anzi: per il postmodernismo, controllare il linguaggio e la narrazione altrui è l’unico modo di fare efficacemente politica, visto che la realtà è solo “narrazione”).

Ne faccio semmai una questione pratica e, appunto, politica.

Infatti, credere ancora che l’informazione passi dai giornalisti significa essere rimasti a trent’anni fa.
L’informazione oggi è diffusa. Chiunque passi per la strada può scattare legittimamente una foto di un evento pubblico e caricarla su Facebook o Instagram. Ripeto: chiunque, e legittimamente.
Oggi qualsiasi telefonino ha una telecamera ed ha la facoltà di “pubblicare” nel giro di secondi. Letteralmente, secondi.
Scrivere, come qui su “Gay.it”, che:

In questa Marcia non sono accettati comportamenti omolesbobitransfobici, razzisti, fascisti e violenti. Per non esserci violenza deve esserci consenso, quindi, prima di fare foto e video, creare contatto fisico o assumere comportamenti che potrebbero essere percepiti non rispettosi, chiedi il permesso”,

significa creare false attese e mettere in pericolo chi, dalla pubblicazione della propria immagine, potrebbe ricevere un danno. Significa spacciare per safe space ciò che, per la sua intrinseca natura, non lo è, e non lo può essere. Significa creare false sicurezze. Ciò è da irresponsabili.


Chiunque partecipi a una MANIFESTAZIONE ha infatti dato in forma implicita, per il semplice fatto di partecipare, il consenso a essere visto e ripreso. Non lo dico io, lo dicono la legge e una giurisprudenza collaudatissima, da moltissimi decenni.
Lo scopo di una manifestazione è infatti rendere manifesto e pubblico il proprio punto di vista su una questione di valenza politica.

Esiste, certo, il “Diritto d’immagine” (concetto relativamente più recente), che proibisce di pubblicare il ritratto / primo piano decontestualizzato di una persona a caso vista per la strada, anche se si trova a una manifestazione, tuttavia se quella persona ha in mano un cartello “IO SONO FROCIO” (o anche solo una banale bandiera arcobaleno) e sta in prima fila d’una manifestazione, non occorre più il suo consenso alla pubblicazione, perché il modo e il luogo in cui è stata ritratta costituiscono consenso implicito.
Se non vuoi che si sappia che sei gay, allora non giri con un cartello che proclama al mondo che lo sei, o non vai, letteralmente, in giro con le bandiere. Se io pubblico la tua foto, non ho invaso nessuna privacy: sei tu che hai rinunciato a essa, per legittima scelta politica.


Solo nel caso in cui l’immagine venga usata in modo denigratorio, per esempio con una didascalia che dice “Eccovi un prostituto e delinquente“, allora resta sempre il diritto di tutela della propria immagine (ma sarà un tribunale a stabilire se ci sia stata denigrazione o no).
Mentre, se essa è pubblicata in un contesto non denigratorio (notando qui che criticare politicamente in sé non equivale – sorpresa! – a denigrare) tale pubblicazione è legittima.

E’ quindi sbagliato creare errate attese di “safe zone” fra chi partecipa.
Una manifestazione NON E’ UNA SAFE ZONE. (Come argomenta anche questo articolo, stavolta dalla Svizzera).

E no, non ci si può neppure coprire la faccia in modo da non essere riconoscibili, come nella foto pubblicata da Gay.it. Non solo girare “mascherati” non è genericamente lecito, ma esiste una legge specifica, la Legge Reale, che all’articolo 5 lo rende un reato, se ciò è fatto in una manifestazione pubblica.
Si può essere contrari a questa legge fascistissima, ed io lo sono, ma non si può dare a gente giovane che non capisce assolutamente nulla di politica una falsa sicurezza e la falsa idea che sia legittimo farlo. Non lo è: la legge non l’ho né voluta né fatta io, ma è in vigore ed ha perfino resistito a un referendum abrogativo.


Quindi se non puoi partecipare a una manifestazione perché hai i genitori filo-ISIS, allora assisti dal marciapiede, come è avvenuto per decenni. E’ brutto, ma è così.
In una manifestazione ci si mette in gioco, e si corrono rischi, incluso quello di essere manganellati dalla polizia. O visti. O riconosciuti. O fotografati.
Come è successo a noi per decenni.

Ripeto ancora per l’ultima volta: una manifestazione non è uno “spazio sicuro”.

Tocca a chi può esporsi in pubblico cambiare la società anche per chi non può farlo, in modo che in futuro anche chi non può ancora farlo possa farlo.
Noi lo abbiamo fatto, e lo abbiamo fatto mettendoci la faccia, e il nome.
Se qualcuno conosce altri modi, la creatività in politica è sempre bene accetta, e ci spieghi cosa fare in alternativa. Ma sperare di poter fare politica con le “manifestazioni non manifeste” è una contraddizione in termini.

(E quando questi scappati di casa queer la smetteranno di giocare a fare politica, non sarà mai stato troppo presto).

4 pensieri su “Manifestazioni LGBT+”velate”? Non si può.

  1. Caro Giovanni,
    sulle assurdità del pensiero queer potremmo anche essere d’accordo, ma questo articolo… è un altro paio di maniche.
    Mai pensato che i cortei siano “safe space”, però il rifiuto di apparire nelle foto di manifestazioni è comprensibile dato che la “Giustizia” italiana (ovvero il sistema repressivo) potrebbe associarti dei reati collettivi solo per il fatto di essere stato/a presente a quel corteo, tipo “devastazione e saccheggio”. Ci siamo dimenticati di Genova 2001 o del 25/10/2010 a Roma?
    E, dato che non c’è mai limite al peggio, negli scorsi anni abbiamo avuto i decreti sicurezza Minniti e Salvini. Hai presente che leggi fasciste e antisindacali che sono?
    Travisarsi il volto non sarà legale, ma è di sicuro legittimo e ancor di più quando ci si ribella e ci si scontra con lo Stato.
    Certo, se vado in manifestazione faccio un’azione pubblica, politica e ne sono cosciente, ma, appunto, coscientemente conosco i pericoli e prendo delle precauzioni.
    Aggiungo anche un altro aspetto: per quanto mi riguarda, odio profondamente le persone che rimangono ai lati di un corteo a riprendere e fotografare come se fossero allo zoo, per poi pubblicare video e foto sui loro social del cavolo e che, all’occorrenza, potrebbero essere usate dalla repressione. E’ un misto di ignoranza e menefreghismo e non vanno tollerate.
    La prima volta chiedo cortesemente di non fotografarmi, la seconda cerco di coprirmi o coprire l’obbiettivo con una bandiera e ripeto la richiesta, alla terza è probabile che lo smarthphone finisca in mille pezzi a terra. Proprietà privata? Che peccato, mi si spezza il cuore!
    E’ anche questa la consapevolezza dello “stare in corteo” e sono questi gli aspetti che le nuove generazioni dovrebbero tenere presente.
    E’ compito dei militanti più esperti e dei collettivi condividere con i più giovani una “cultura” non pacificata del corteo. Non dico che deve esserci per forza lo scontro, che va calibrato in maniera razionale e non per spettacolo, ma che la pratica “corteo” dia fastidio e che i temi non possano essere sussunti.
    Data la situazione di guerra, di povertà e sfruttamento crescenti e in vista dei disastri ecologici a cui stiamo andando in contro, io spero, con tutto me stesso, che le manifestazioni di gente travisata si moltiplichino sempre più.

    Pagheranno caro e pagheranno tutto!
    Sì, siamo ancora qui e resistiamo 😉
    (A)

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    1. Con tutto rispetto, illudersi che chi va a un corteo possa restare anonimo, quando ha in tasca un aggeggio che geolocalizza la sua posizione minuto per minuto, e telecamere a riconoscimento facciale in ogni angolo, è pura utopia. Chi ha esperienza politica ha il dovere di non creare illusioni irreali in chi è inesperto, e crede di poter sfuggire al controllo dello Stato di Polizia.
      Se qualcuno rischia di perdere tutto partecipando a una manifestazione, non va rassicurato sulla possibilità di farlo in modo anonimo. Deve essere conscio o conscia dei rischi che corre, e valutare lei o lui se intende rischiare o no. Dare false sicurezze è profondamente sbagliato.

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  2. Non ci stiamo capendo. La sicurezza al 100% non c’è ma si possono usare delle precauzioni, che non eliminano il pericolo ma lo diminuiscono… e quando si fanno certe cose non si usa il telefono. Dai, su!
    Neanche la protezione infomarmatica totale esiste, ma si possono approntare diverse strategie: usare Linux e non Windows, criptare il disco, password complesse, usare servizi mail che privilegiano l’anonimato e la sicurezza, ecc.
    Nussun hacker ti dirà mai che se fai queste cose sarai protetto contro tutto e tutti.

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