Sartre, Foucault e “il rifiuto della storia”.

Chi mi conosce sa già che il mio giudizio su Michel Foucault come storico dell’omosessualità è negativo al 100%. Infatti, nel lungo e polifonico processo storico che ha portato alla presunta “nascita” del cosiddetto “omosessuale moderno” Foucault ha semplicemente invertito causa ed effetto (chi fosse interessato alle mie argomentazioni le trova qui). [Ossia: quando le persone omosessuali iniziano a teorizzare l’idea di essere un gruppo, i medici reagiscono affermando che saranno magari un gruppo, ma di malati, nel corpo o nella mente; mentre secondo Foucault fu la decisione autonoma dei medici di “creare” dal nulla l’omosessuale, nell’anno 1869, a far sì che le vittime si lasciassero convincere d’essere un gruppo distinto dagli altri. Ovviamente nel secondo caso consegue che è illegittimo parlare di “storia dell’omosessualità” prima del 1869].
Uno degli aspetti meno accettabili del modo foucaultiano di far storia è la totale assenza di dialettica fra epoche e persone. Ogni epoca è sigillata in un “Discorso del potere” monolitico, fino al giorno in cui una “frattura epistemologica” impone un diverso “discorso”, che elimina qualsiasi traccia del “discorso” precedente, e così via. (La “invenzione” degli omosessuali da parte dei medici nel XIX secolo sarebbe appunto il risultato di una di queste ruptures épistémologiques). L’idea che possano esistere svariati “discorsi” alternativi in lotta / dialettica fra loro (nel nostro caso, svariate concezioni dell’omosessualità) è riconosciuta a tratti da Foucault, ma sempre lasciata cadere quasi fosse irrilevante.
Un mio amico mi ha segnalato di recente una intervista in cui Jean-Paul Sartre, già nel 1966 [B. P., Jean-Paul Sartre répond, “L’Arc” n. 30 (“Sartre aujourd’hui”), Octobre 1966], riscontrava questo punto debole del modo di argomentare di Foucault, da Sartre caratterizzato tout-court come “rifiuto della storia”, ma che forse a noi appare maggiormente come un “rifiuto della dialettica nella storia”.
Ovviamente Sartre esprime le preoccupazioni della sua epoca, che a noi possono dire poco: che il lavoro di Foucault abbia come principale bersaglio la storiografia marxista è ormai, credo, palese a chiunque abbia visto gli sviluppi successivi, tuttavia nel 2017 ormai ciò non importa più a nessuno (ahinoi).
Resta però il fatto che già nel 1966 erano visibili i limiti del modo di “fare storia” di Foucault, che partiva dalle conclusioni a cui era arrivato in base alle sue elucubrazioni filosofiche e poi citava i documenti storici solo nella misura in cui sostenessero la sua conclusione, scartando tutti gli altri.
Traduco pertanto il passo a mio parere più significativo.

B. P.: Nell’atteggiamento che ha nei suoi confronti la giovane generazione, lei vede un’ispirazione diffusa?

Jean-Paul Sartre: Per lo meno una tendenza dominante (perché il fenomeno non è generale): il rifiuto della storia. Il successo che è stato decretato all’ultimo libro di Michel Foucault è caratteristico. Cosa troviamo in Le parole e le cose? Non certo una “archeologia” delle scienze umane.
L’archeologo è una persona che ricerca le tracce d’una civiltà scomparsa per cercare di ricostruirla. Egli studia uno stile che è stato concepito e realizzato da altri esseri umani. Questo stile è riuscito in seguito a imporsi come una situazione naturale, a darsi l’aria di un dato di fatto. Ciononostante esso non cessa d’essere il risultato di una prassi, di cui l’archeologo ricostruisce lo sviluppo.
Ciò che Foucault ci presenta è, come ha ben visto Kanters, una geologia:  la serie degli strati successivi che formano il nostro “suolo”.  Ciascuno di questi strati definisce le condizioni di possibilità di un certo tipo di pensiero che ha trionfato durante un certo  periodo.
Ma Foucault non ci dice quel che sarebbe l’aspetto più interessante: vale a dire come ciascun pensiero sia costruito a partire da tali condizioni, né come gli esseri umani passino da un pensiero all’altro. Per poterlo fare dovrebbe fare intervenire la prassi, cioè la storia, ed è esattamente questo ciò che egli rifiuta.
Certo, la sua prospettiva resta storica. Distingue fra epoche, fra un “prima” e un “dopo”. Ma egli sostituisce al cinema la lanterna magica, al movimento una successione di immobilità.
Il successo del suo libro prova a sufficienza che era atteso. Ora, un pensiero davvero originale non è mai atteso. Foucault porta alla gente ciò di cui aveva bisogno: una sintesi eclettica di in cui Robbe-Grillet, lo strutturalismo, la linguistica, Lacan, “Tel Quel” sono utilizzati a turno per dimostrare l’impossibilità d’una riflessione storica.

Dietro alla storia, ben inteso, è il marxismo che è preso di mira. Si tratta di costituire una nuova ideologia, l’ultima barriera che la borghesia possa ancora elevare contro Marx.
Un tempo gli ideologi borghesi contestavano la teoria marxista della storia nel nome di un’altra teoria. Si faceva la storia delle idee, come Toynbee, oppure si rappresentava la successione delle civiltà come se fosse un processo organico, come Spengler, oppure ancora si denunciava il non-senso, l’assurdità di una storia “piena di rumore e di furore”, come Camus. Ma tutte queste pseudo-storie sono durate a lungo perché i veri storici non le hanno mai fatte proprie. Uno storico, oggi, può non essere comunista, ma sa che non può scrivere una storia seria senza mettere in primo piano gli elementi materiali della vita degli esseri umani, i rapporti di produzione, la prassi – anche se pensa, come nel mio caso, che al di sopra di tali rapporti, le “sovrastrutture” costituiscano regioni relativamente autonome.
Alla luce di questi lavori, tutte le teorie borghesi della storia appaiono come immagini menzognere, troncate. Non si può inventare un sistema nuovo che, in un modo o nell’altro, non mutili questo insieme di condizionamenti condizionati.
Non potendo “superare” il marxismo, si è quindi deciso di sopprimerlo. (…)

[Ringrazio Andrea Pizzocaro per avermi segnalato l’intervista. La foto di Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre (1955) è tratta da WikiCommons]

Ulteriori letture possibili:

 

3 pensieri su “Sartre, Foucault e “il rifiuto della storia”.

  1. Nessuno ha mai torto/ragione al 100% (prendilo come assioma relativistico). Il punto (mi riferisco alla critica di Sartre) è che il marxismo ha mostrato nel corso della storia dei grossi limiti, ma manca una persona del calibro di Marx per aggiornarlo. Il motivo è che il marxismo ha radici sia economiche che filosofiche fusa mirabilmente insieme, mentre oggi i filosofi sono abbastanza digiuni di scienza (fisica) e completamente digiuni di economia (conoscono quello che si legge sui giornali). Ne segue che le revisioni seguono un cammino puramente filosofico. Non sono sicuro che la teoria di Foucault nasca come confutazione di Marx. Certo, manca del tutto lato materiale, concreto, sembra quasi la rivincita della “sovrastruttura” sulla struttura (che viene sostituita dall’archeologia, cioè le cantine sostituiscono la casa); si cade in un irrazionalismo secondo il quale ogni due o tre secoli, senza nessun motivo reale, cambia “l’episteme” che è alla base del modo di pensare (e quindi di agire) degli uomini (ovviamente solo europei, ma gli altri uomini non contano). Detto ciò, molte intuizioni di Foucault sono interessanti. Riguardo all’omosessualità, condivido le tue “perplessità”. La mia idea (che sintetizzo banalizzandola) è che, se proprio vogliamo trovare una frattura, essa va collocata a ridosso del ’68 (e comunque non esistono fratture, ma processi lenti che ogni tanto accelerano, ma niente di più) quando la struttura familistica patriarcale entra in crisi. Un neologismo non può generare una frattura.

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